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Kpop Demon Hunters: combattere i demoni a suon di musica

Kpop Demon Hunters: combattere i demoni a suon di musica

Dopo il successo di Spider-Man: Into e Across the Spider-Verse, Sony Pictures Animation torna con un altro, sensazionale film. Rilasciato su Netflix il 20 giugno, Kpop Demon Hunters è andato incontro a un successo istantaneo, complici uno stile animato ispirato, una colonna sonora da urlo e una storia dalla portata universale. Voi scetticə che, al solo leggere il titolo del film, avete storto il naso, preparatevi: nei giorni a venire Huntr/x e Saja Boys occuperanno di forza i vostri pensieri o, quantomeno, le vostre playlist!

“Suonarle di santa ragione”, e non per modo di dire

Kpop Demon Hunters parte da una semplice quanto accattivante premessa. Nella Corea antica, tre guerriere mistiche, le Cacciatrici, si frapposero tra l’umanità impaurita e le incursioni demoniache. Con la forza delle loro armi e delle loro voci, scacciarono i demoni divoratori di anime e crearono l’Honmoon per separare il nostro mondo dal regno infernale di Gwi-ma (Lee Byung-hun). La barriera energetica in questione non è però indistruttibile e richiede di essere continuamente rinnovata attraverso una forte connessione spirituale. Ecco perché, per meglio esercitare il loro ruolo di protettrici silenziose, le Cacciatrici, secolo dopo secolo, sono chiamate a scendere sotto i riflettori e… cantare!

KPop Demon Hunters

Rumi (Arden Cho), Mira (May Hong) e Zoey (Ji-young Yoo) sono le Cacciatrici dei giorni nostri. Conosciute come le Huntr/x, questo trio affiatato di amiche ha conquistato i cuori di milioni di fan e scalato le vette delle principali classifiche musicali con la stessa grazia feroce con cui annienta orde di demoni. Tuttavia, è proprio quando si avvicina l’esibizione più importante, quella che renderà l’Honmoon dorato eliminando ogni traccia demoniaca dal mendo, che accade l’impensabile: la voce di Rumi inizia a incrinarsi sotto il peso di verità a lungo taciute. E come se non bastasse, a minacciare ulteriormente ordine e stabilità arrivano i Saja Boys, una boy (demon?) band dal fascino luciferino che punta a rubare quante più anime possibili in nome di Gwi-Ma e a sconfiggere le Huntr/x sul loro stesso campo di battaglia, il palcoscenico. 

Il sentito omaggio di Kang alla Corea del Sud

Nel giro di pochi giorni Kpop Demon Hunters è diventato un successo inarrestabile a livello globale e non c’è da stupirsene. Il film scritto e diretto da Maggie Kang e Chris Appelhans è un tripudio di colori e sonorità che omaggia in ogni dettaglio la cultura coreana, passata e moderna. Kang, che ne è l’ideatrice, desiderava onorare le proprie origini, ispirata tanto dai gruppi della prima generazione del Kpop quanto dalla tradizione sciamanica coreana. Le Cacciatrici si ispirano infatti alle Mudang (무당). Per Kang, i rituali di musica e danza da loro eseguiti per riportare l’equilibrio tra il mondo spirituale e quello umano rappresentano momenti di unione profonda al pari di esibizioni e concerti.

KPOP DEMON HUNTERS

Accanto ai riferimenti più espliciti ai K-Drama — fun fact: è proprio Ahn Hyo-seop di Business Proposal (2022) a prestare la voce a Jinu— e al mondo della musica Kpop, se ne accompagnano altri più sottili al folklore coreano. I demoni riprendono l’aspetto dei dokkaebi (도깨비), spiritelli dispettosi assimilabili ai goblin, mentre la grande tigre blu senza un pensiero dietro quei grandi occhi arancioni ricalca le illustrazioni classiche di uno degli animali simbolo della Corea. Per non parlare dei Saja Boys, che, con tanto di artigli affilati, hanbok e gat in dotazione nella loro forma demoniaca, si rifanno ai mitici jeoseung saja (저승 사자), collettori e guide di anime dell’aldilà di cui sono, se possibile, la versione ancora più sinistra (e attraente).

La commistione di generi al cuore, animato e musicale, di Kpop Demon Hunters

È innegabile che lo stile d’animazione di Kpop Demon Hunters debba molto allo Spider-Verse, suo predecessore. Sony Pictures Imageworks non si adagia, però, sul già fatto e già visto. Dietro le richieste di Kang, lo studio sperimenta e sviluppa qualcosa di unico e audace, uno stile d’animazione che Josh Beveridge, head of character animation, definisce “ispirato a un’estetica 2D ma reinterpretata attraverso un linguaggio 3D”. Ma è quel tocco di anime — o di aeni (애니), se vogliamo usare il termine coreano — che fa la differenza. 

Kpop Demon Hunters

I personaggi di Kpop Demon Hunters fanno mostra di un’espressività plastica che è tutta di matrice orientale e che ha modo di brillare soprattutto nelle scene comiche, a dimostrazione, tra l’altro, della vastità di toni che il film riesce a abbracciare. Bocche che si allargano a inghiottire kimbap giganteschi, occhi strizzati fuori dalle orbite come palloncini o che sparano pop corn di fronte a un six pack sfolgorante: i tratti del viso perdono il loro realismo e si piegano e si sformano in espressioni memorabili (anzi, memabili). 

Ma anche le scene d’azione giovano dell’influenza dell’animazione orientale. Sin dalla prima sequenza sull’aereo, i combattimenti dimostrano di essere dinamici, fluidi e visivamente spettacolari. Sembrano delle vere e proprie coreografie, e a elevarli ancora di più ci pensano lo score curato da Marcelo Zarvos e i brani originali che riprendono le sonorità di gruppi come Blackpink, Itzy e Twice per le Huntr/x e ATEEZ, Stray Kids e ENHYPEN per i Saja Boys. Non a caso, ci hanno lavorato nomi di spicco dell’industria Kpop come Teddy Park, co-fondatore di The Black Label, Stephen Kirk, che ha collaborato con i BTS e Tomorrow X Together, e Jenna Andrews, dietro alcuni dei successi dei BTS, di Drake e Jennifer Lopez.

Arrivatə a questo punto, un doveroso chiarimento: Kpop Demon Hunters è un musical, ma non il solito musical di casa Disney, in cui i personaggi si lanciano in stacchetti musicali che spesso risultano avulsi dal resto, nonostante le convenzioni del genere. Nossignore. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo, fresco, che rende la musica parte integrante della narrazione, a partire dal fatto che le vicende sono calate nell’ambiente musicale coreano. Anzi, la musica è strumento di narrazione, aspetto, questo, che viene, di nuovo, dal Kpop, dove i videoclip spesso e volentieri sono dei simil corti cinematografici. Da “How It’s Done” fino a “Your Idol”, Kpop Demon Hunters regala una hit dietro l’altra senza mai lasciare indietro la storia, che, già di suo, scorre molto veloce, a tratti persino troppo.

I demoni non sono solo quelli con artigli e corna

Kpop Demon Hunters non ha da offrire solo visual accattivanti e canzoni orecchiabili. È un prodotto che, forse proprio perché pensato per essere adatto a tutte l’età, non rinuncia a essere stratificato a fronte dell’intrattenimento. C’è la storia di un gruppo di idol guerriere chiamate a sconfiggere il re dei demoni e i suoi emissari, con tanto di storia d’amore semi-proibita di contorno; ma più sotto, ecco che fanno capolino tematiche quali repressione, paura del rifiuto e dell’esclusione sociale insieme al loro risvolto più luminoso, ovvero: cura reciproca, comprensione e accettazione di sé e dell’altro. 

Kpop Demon Hunters parla a chi si sente scissə tra ciò che è e ciò che il resto della sua famiglia o della società vuole che sia; a chi combatte contro le voci, dentro e fuori la sua testa, che urlano che non è abbastanza e mai lo sarà; a chi fatica a farsi accettare e ad accettarsi; e a chi, certe volte, riesce a trovare una comunità di supporto, una rete di sicurezza su cui lasciarsi cadere. Maggie Kang e Chris Appelhans hanno fatto ricorso a uno stratagemma sì semplice ma che garantisce al racconto costruito il maggior grado di universalità possibile. Non è infatti un caso che i demoni indeboliscano le prede umane facendo leva sul loro profondo senso di vergogna e inadeguatezza. I mostri da combattere, le debolezze da nascondere si fanno di volta in volta incarnazione della diversità di cui lə singolə spettatorə si fa portatore. Non stupisce allora che, pur non essendo esplicitamente queer, Kpop Demon Hunters finisca per essere un’allegoria quasi perfetta del vissuto di una persona appartenente alla comunità LGBTQIA+.

Del rapporto tra rappresentazione, visibilità queer e animazione se n’è parlato proprio di recente insieme a Damiano di ProxyNews ai microfoni di Strega in Biblioteca:

I Saja Boys e il lato oscuro del Kpop

E con i demoni non abbiamo ancora finito, perché attraverso i Saja Boys il film ideato da Maggie Kang va a scandagliare le ombre del fenomeno Kpop. Ciascun membro dei Saja incarna una tipologia, quasi un archetipo, di idol: Jinu è il bello classico, Abby è il fisicato, Baby è quello con il viso d’angelo ma con la voce che esce dritta dalle profondità della Terra, Mistery il taciturno introverso e Romance il latin lover. Divertente sì, ma allo stesso tempo, secondo un’interessante interpretazione, rappresenterebbero in maniera sottile diverse dinamiche problematiche dell’industria del Kpop, quali: totale mancanza di privacy (Mistery) e di indipendenza (Jinu), pericolo di ipersessualizzazione (Abby) o di infantilizzazione (Baby). In quest’ottica, una canzone già di suo ambigua come “Your Idol” si carica di ulteriore inquietudine se inquadrata nell’ottica delle relazioni parasociali al limite del tossico che a volte si vengono a stabilire tra idol e fan. 

KPop Demon Hunters

Sebbene oggi il quadro stia mutando, la completa abnegazione alla band e alla casa di produzione non appare poi così tanto diversa dall’obbedienza a Gwi-Ma e dai sacrifici a cui Jinu e gli altri sono chiamati a compiere per agire nel mondo umano.

Kpop Demon Hunters avrà un sequel, un prequel, qualcosa?

Kpop Demon Hunters, è indubbio, ha lasciato un segno o, quanto meno, un’impressione durevole sul pubblico di tutto il mondo, e lo dimostrano le prime posizioni nella Top 10 dei film più visti su Netflix in più di novanta paesi e nella classifica degli album più ascoltati su Spotify al momento in cui esce quest’articolo. Insieme al mare di contenuti prodotti sull’onda della Kpop Demon Hunters mania che ha investito le piattaforme social, sono segnali, questi, di cui Sony Pictures Animation starà prendendo nota. O almeno si spera. D’altronde non sarebbe il primo prodotto a dare l’impressione di un successo diffuso salvo poi venire cancellato o abbandonato a se stesso.

D’altra parte, occasioni e modi per espandere ulteriormente l’universo narrativo creato da Kang e Appelhans ce ne sarebbero eccome. Diverse sono le story line che non sono state chiuse o approfondite a dovere e pare strano che, vista la cura posta in ogni aspetto del film, non siano state lasciate in questo modo di proposito, magari proprio nella speranza di strutturare un sequel, un prequel o, addirittura, uno spin-off. E come si è solitə dire in questi casi: “Non succede, ma se succede…”.

Nel frattempo, vi invito a cedere alla curiosità di sapere cosa mai avranno a che fare l’uno con l’altro demoni e Kpop. La risposta potrebbe, in ordine, sorprendervi, gettarvi in un loop musicale da cui uscirete a fatica, farvi desiderare una tigre blu da compagnia (o una gazza ladra con tre occhi) e, a seconda dei casi, vendere l’anima al demone pentito più vicino.  

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