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Spider-Man: Across the Spider-Verse, la recensione di un cult in ascesa

Spider-Man: Across the Spider-Verse, la recensione di un cult in ascesa

Dal primo giorno della sua uscita in sala, Spider-Man: Across the Spider-Verse sta collezionando le lodi della critica e i commenti entusiasti degli spettatori da questa e dall’altra parte dell’oceano. Da un lato, se avete amato (o anche solo apprezzato) Spider-Man: Un nuovo universo, questo non può che riempirvi d’orgoglio (o anche solo di un mite entusiasmo); dall’altro lato, però, il plauso generale può anche spingervi verso un cauto scetticismo prima di entrare in sala. Scetticismo infondato, dico io, perché Spider-Man: Across the Spider-Verse è un capolavoro.

“D’accordo, ve lo racconto un’ultima volta”: dove eravamo rimasti

Parafrasando la battuta iniziale di Gwen Stacy (Hailee Steinfield), Spider-Man: Across the Spider-Verse fa “le cose in modo diverso questa volta” e affida proprio a lei l’onore e l’onere di riprendere le fila del primo film. Mentre iniziamo a riempirci gli occhi di bellezza, Gwen ripercorre gli avvenimenti che l’hanno riportata a casa e che, ancora prima, l’hanno resa la Spider-Woman del suo universo. 

Al contrario di quanto fossimo convinti alla fine del primo film, riparare l’acceleratore non è servito a interrompere le incursioni da altri mondi, perché il Guggenheim viene preso d’assalto — come spiegarlo? — da un Avvoltoio rinascimentale. Soltanto l’intervento di Jessica Drew/Spider-Woman (Issa Rae) e Miguel O’Hara/Spider-Man 2099 (Oscar Isaac) scongiura l’ennesimo tentativo di sovvertire l’ordine dello Spider-verso, di cui la Spider Society, guidata da Miguel, è a guardia. Ma il Canone, così si chiama il tessuto stesso dello Spider-verso, dovrà ben presto affrontare pericoli più grandi di un Avvoltoio vagamente leonardesco: in primis, la Macchia (Jason Schwartzman), che passa da villain macchiettistico (pun intended) a pericolo multiversale nel giro di poche scene. Ma la minaccia più grande di tutte, colui che, forte di un rinnovato individualismo, vi farà mettere in dubbio tutto ciò che sapete su Spider-Man, è il nostro eroe, Miles Morales (Shameik Moore). 

Rapporto genitori/figli, il cuore di Spider-Man: Across the Spider-Verse

«Tutti non fanno altro che dirmi come dovrebbe andare la mia storia. No, farò a modo mio»

Sin dai primissimi trailer era evidente che il tema dell’autodeterminazione di sé sarebbe stato uno dei pilastri narrativi del film. In Spider-Man: Across the Spider-Verse ritroviamo Miles più adolescente e incasinato di prima, ma comunque con una nuova consapevolezza di sé, vuoi perché essere Spider-Man lo richiede, vuoi perché ha 15 anni ed è “praticamente già un adulto” (parole sue, non mie). Anche se Miles oscilla incerto da un ruolo all’altro, sembra aver trovato un equilibrio tutto suo tra le varie responsabilità di figlio, studente e “solo e unico Spider-Man” di Terra-1610.

Ed è proprio questo che Miles vorrebbe far comprendere ai suoi genitori (e a Miguel e alla Spider Society): è cresciuto, sa chi è o, per lo meno, intravede la strada per diventarlo e ciò che chiede è di ricevere la fiducia necessaria per intraprenderla. Affermare la propria individualità e differenza da chi ci ha preceduto comporta inevitabilmente il distacco, che è in parte una forma di perdita (elemento, questo, che definisce l’essenza di Spider-Man) e in parte una forma di conflitto.

Il tema dello scontro generazionale riverbera per tutto Spider-Man: Across the Spider-Verse, e che prenda la forma di un aspro litigio per l’incapacità del proprio padre di andare oltre la maschera o di uno scontro faccia a faccia con la versione di Spider-Man più oscura che si sia mai vista calcare gli schermi, l’essenza è sempre quella: il cambiamento è inevitabile e auspicabile, ma, affinché il cambiamento si verifichi, deve esserci conflitto — e dal conflitto viene la crescita, di sé e della società. Ma per parlare di quest’ultimo punto devo per forza scendere in dettaglio. Se ancora non avete visto il film, vi invito a saltare la parte che segue; se, pur non avendolo visto, non vi importa niente degli spoiler… buon per voi. Ci leggiamo di sotto!

Punk is not dead ed è in lotta con un vampiro…? (Inizio parte spoiler)

Il rapporto genitori/figli è solo il primo dei modi in cui si declina lo scontro generazionale in Spider-Man: Across the Spider-Verse. Passando dalla dimensione nucleare della famiglia a quella più ampia della società, l’altro modo è lo scontro fra società e individuo. Quello stesso scontro di cui si è fatta e, per certi versi, si fa ancora portatrice proprio la sottocultura punk e che nel film vediamo incarnarsi nell’opposizione fra Miguel O’Hara e Hobie Brown/Spider-Punk (Daniel Kaluuya). Hobie è l’anarchico per eccellenza: si contraddice perché non crede nella coerenza, fa progredire la trama anche se avverso a qualsiasi forma di costrizione. E di ordine, potremmo aggiungere. Fedele alla propria natura di variabile impazzita e alla sottocultura a cui appartiene, Spider-Punk fornisce a Miles il mezzo attraverso cui mettere in discussione l’ordine prestabilito, rompere i codici dominanti — il Canone! — e affermare in chiave sovversiva la propria individualità.

Miguel O’Hara, invece, sta a rappresentare il potere imposto dall’alto. Prima vittima della superiorità del Canone sul tutto, Miguel non è solo il negativo degli amorevoli genitori di Miles, Jefferson e Rio, ma si fa mezzo attraverso cui la società può schiacciare l’individuo e strappargli la sua unicità. Mentre è possibile trovare delle somiglianze fra le centinaia di Spider-persona che si susseguono sullo schermo, Miguel si distacca dalla massa — vedete, banalmente, per la mancanza di ironia — e rimane impresso tanto per il tema musicale che lo accompagna — futuristico, minaccioso, ansiogeno — quanto per il suo peculiare character design. Miguel è in tutto per tutto un antieroe byroniano, forse addirittura un imponente villain gotico; è un vampiro attanagliato dalla colpa e dalla rabbia, talmente disumano da sembrare una belva assetata di sangue quando si getta all’inseguimento di Miles.

Anatomia di uno Spider-Man

Non è soltanto attraverso Miguel O’Hara che Spider-Man: Across the Spider-Verse mette in questione l’archetipo dell’eroe. È l’intero film a proporsi come disamina dell’essere Spider-Man, e uno degli aspetti attraverso cui lo fa è, per l’appunto, dubitando della sua eroicità. Certo, di eroiche Spider-persona ne vediamo a bizzeffe in questo film — Spider-Lego (Nic Novicki), Pavitr Prabhakar/Spider-Man India (Karani Soni), Margo Kess/Spider-Byte (Amandla Stenberg) e il buon vecchio Peter B. Parker (Jake Johnson) con prole al seguito, solo per citarne alcuni. Ma Spider-Man è davvero sempre l’eroe? Ebbene, guardando Miguel, la risposta affermativa a questa domanda non arriva più così pronta come un tempo.

Con la morte di un intero universo e della sua famiglia sulla coscienza, Miguel O’Hara è la tragedia dello Spider-Man portata alle estreme conseguenze. Da un lato, la superbia di pensare che, in quanto Spider-Man, potesse sostituirsi a una variante di se stesso facendola franca lo fa cadere dal suo stato di eroica grazia e segna il suo passaggio a primo protettore del Canone; dall’altro, nell’imporre a Miles il Canone che lui per primo aveva infranto, si trasforma nell’opposto di un eroe, un antagonista, se non qualcuno di ben peggiore.

Spider-Man: Across the Spider-Verse non si accontenta di sfumare i confini fra eroe e villain e va ancora più in profondità nella sua analisi della figura di Spider-Man. Il film, infatti, arriva a problematizzare le fondamenta stesse del personaggio: il trauma della perdita. Abbiamo visto morire sul grande schermo zio Ben nove volte, una persino zia May e zio Aaron, nel caso di Miles. Fino a questo momento abbiamo dato per scontato che la perdita fosse un passaggio necessario affinché la trasformazione in Spider-Man avesse luogo. Stesso discorso per la morte del capitano della polizia, che, in quanto evento canonico, deve accadere pena la distruzione dell’universo, e non importa che ora a morire sia Jefferson, il padre di Miles. Spider-Man: Across the Spider-Verse e la sola esistenza di Miles Morales ne mettono in dubbio la necessità e forniscono un nuovo sguardo sul dilemma dello Spider-Man: tra salvare tutti sacrificando una persona e salvare una persona sacrificando tutti, Miles è alla ricerca di una terza via in virtù del suo essere un’anomalia, un errore del sistema, come Miguel tiene a fargli sapere. Ma per scoprire se Miles avrà successo o meno, dovremo attendere lo sviluppo dell’ultimo atto in Spider-Man: Beyond the Spider-Verse.

Dichiarazione d’amore a cuore aperto per Spider-Man: Across the Spider-Verse (Fine parte spoiler)

Ho volutamente lasciato per ultima quella che è la prima, lampante ragione per cui mi sono (re)innamorata di Spider-Man: Across the Spider-Verse: l’animazione. Più volte durante il film non sono riuscita a trattenermi dall’esclamare a voce più o meno bassa: “Che bello, ma tu guarda che bello!”. Ogni frame meriterebbe minuti e minuti di contemplazione, come in una galleria d’arte o un museo quando si fanno delle soste fra una sala e l’altra.

Il modo in cui lo schermo si liquefa negli acquerelli della Terra di Gwen Stacy mentre la vediamo volare a passo di danza, sensibili ai cambiamenti del mondo interiore della sua protagonista al pari di una persona vera; l’inconfondibile qualità fumettistica di Terra-1610, che mostra, fiera, le sue origini attraverso la texture puntinata dell’immagine, le onomatopee e i balloon informativi — questi sono solo due dei sei stili di animazione differenti con cui Spider-Man: Across the Spider-Verse incanta il pubblico! È un modo tutto nuovo, questo, di far leva sulla nostalgia e sul richiamo alle tecniche di disegno tradizionali ostentando, allo stesso tempo, l’avanzamento tecnologico raggiunto nell’animazione digitale.

Con il suo susseguirsi frenetico di quadri in movimento, Spider-Man: Across the Spider-Verse è uno spettacolo per gli occhi. Trasportati dal ritmo dell’eclettica soundtrack (pazzesca!) a cura di Daniel Pemberton, si esce dalla sala con la viva sensazione, se è possibile, di avere l’anima piena di bellezza.

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