
Ermione: la voce di un’eroina dimenticata
Quella greca antica era una società della vergogna, un’intera architettura di vita che sorgeva su fondamenta salde, ma imprescindibili. Onore e gloria, morte giovane e coraggiosa, vendetta giusta. I millenni ci hanno tramandato eroi dalle spade insanguinate, mentre le poche donne sopravvissute all’oblio venivano condannate perché incarnavano quelle stesse caratteristiche di prerogativa virile. Circe e Medea, le maghe incantatrici. Medusa, il mostro dallo sguardo di pietra. Cassandra, la folle ribelle. Elena, la bellissima adultera.

Ermione non è niente di tutto questo. Infatti, Ermione è una dimenticata della storia: la figlia abbandonata, prima dalla madre e poi dal padre; la ragazza bellissima, ma mai come Elena. È proprio a questo personaggio spezzato che Valentina Ferrari decide di dar voce, nel suo nuovo romanzo edito da Mondadori, regalando a una sagoma invisibile il suo meritato riscatto.
Vorrei che qualcuno restasse per me, almeno una volta nella vita.
Ermione, Valentina Ferrari
Il mito divenuto letteratura: l'ombra della guerra di Troia
Che sia giunta per probabili cause politiche o per vendicare un rapimento inaudito, la celebre guerra di Troia è realmente accaduta. Troia – o Ilio – era una ricca città dell’Anatolia (odierna Turchia), che perciò apparteneva all’antico impero ittita. Sorgeva nei pressi dello stretto dei Dardanelli, nella valle irrigata dai fiumi Scamandro e Simoenta, ed era protetta da una massiccia cinta muraria. Fonti storiche attestano la sua caduta, ad opera degli Achei, durante la tarda età del bronzo, intorno alla metà del 1200 a.C.

Ben più di macerie e reperti, l’episodio storico della guerra di Troia ha dato origine alla produzione capillare di miti che, con le loro innumerevoli versioni, sono giunti fino a noi. La nostra fonte letteraria principale, ovviamente, è l’Iliade (IX-VIII a.C.). Attribuita a Omero, l’opera narra in realtà soltanto la cinquantina di giorni finali della guerra, dalla famosa «aspra contesa» tra Agamennone e Achille ai funerali di Ettore. A scatenare il decennio di assedio sarebbe stato il rapimento ai danni di Elena – regina di Sparta e moglie di Menelao – da parte del principe troiano Paride. Agamennone, fratello maggiore di Menelao, nonché gran re di Micene, avrebbe quindi allestito il più imponente esercito mai descritto per riportare in patria la cognata. Dopo dieci anni sanguinosi, Troia sarebbe caduta in fiamme grazie al famoso stratagemma acheo del cavallo.

Sparta e Micene tra matrimoni e guerre
L’amore per la mia famiglia non era mai stato un insieme di versi sussurrati al vento.
L’amore era il sangue di una battaglia interna e la concretezza di una guerra vera, era i denti conficcati nel braccio per soffocare il pianto, o il fingere di non aver sentito. L’amore aveva lunghi artigli, era brandelli di pelle, e aveva il colore della bile o delle notti insonni. L’amore era l’insidia del dubbio e la pena della disillusione.
Ermione, Valentina Ferrari
Paride è passato alla storia come lo sciocco di turno, e non tanto perché ha osato rapire una donna non sua, ma perché – tra tutte le famiglie – ha deciso di inimicarsi proprio gli Atridi. Quella che regnava tra Sparta e Micene non era una dinastia come tutte le altre. Tantalo era figlio di Zeus, così desideroso di eguagliarsi agli dei che imbandì un banchetto in cui servì le carni del suo stesso figlio Pelope per ingannare i suoi ospiti divini. Venne condannato a patire eternamente la fame e la sete, immerso in un lago attorniato da rami carichi di frutta.

Ad aggravare la situazione ci pensarono i figli di Pelope, Atreo e Tieste, che si attirarono ulteriori guai macchiandosi dell’omicidio del fratellastro, per il quale furono costretti a rifugiarsi a Micene. Ma presto anche i legami tra Atreo e Tieste si sfilacciarono – complici tradimenti vari e, ovviamente, gli dei che ci mettono lo zampino – e, in un altro orrendo banchetto, Atreo servì al fratello le carni dei figli. Per vendicarsi, Tieste andò allora in cerca dei due nipoti, ma Agamennone e Menelao si erano già rifugiati a Sparta, dove vennero accolti dal re Tindaro.
Tindaro aveva avuto quattro figli dalla moglie Leda, precisamente due coppie di gemelli. Secondo i mitografi, Zeus sedusse Leda trasformandosi in cigno. Nove mesi dopo, Leda diede alla luce due uova: da uno sarebbero nati Castore e Clitemnestra, figli mortali avuti da Tindaro, e dall’altro i gemelli divini Polideuce ed Elena. Castore e Polideuce formarono una coppia di guerrieri infallibile, i Dioscuri, mentre le sorelle andarono in sposa ai due principi profughi: Agamennone, di nuovo padrone del trono di Micene, sposò Clitemnestra, e Menelao ottenne la mano di Elena.

Quando Elena fu costretta a salpare per Troia – o decise coscientemente di farlo, il dibattito è tuttora aperto –, oltre a Menelao, lasciò a Sparta una figlia: Ermione. La guerra fu dichiarata in fretta, ma la partenza degli eserciti non fu altrettanto immediata. Bloccato in Aulide dalla bonaccia, Agamennone sacrificò la figlia Ifigenia in cambio di un alito di vento. Intanto, in patria, Ermione e Oreste divennero promessi sposi.
Ermione: una rielaborazione tra poemi epici, tragedie ed epistole
Le vicende che Valentina Ferrari decide di mettere in scena nel suo romanzo, gestite sapientemente come fili di un burattinaio invisibile, si dilatano nel tempo infinito che precede la fine della guerra di Troia. La tempistica coperta – anche senza riferimenti specifici – corre parallelamente agli eventi iliadici, spingendosi qualche passo oltre, fino all’irruzione nella vita di Ermione da parte del temibile figlio di Achille.
La pietà era l’assenza di poesia in quel destino di sangue, iniziato da Achille e concluso da Neottolemo.
Ermione, Valentina Ferrari
Di ritorno vittorioso da Troia, Neottolemo ha portato con sé una schiava che un tempo era stata principessa: il suo nome è Andromaca, e Neottolemo le ha ucciso l’unico figlio avuto da Ettore, scaraventandolo giù dalla torre più alta delle mura in fiamme. Della tragedia di Sofocle, l’Ermione, non sopravvivono che frammenti; a esserci pervenuta è invece l’opera di Euripide, l’Andromaca, nella quale Ermione copre il ruolo di antagonista, una moglie accecata dalla gelosia, addirittura disposta a tramare per l’omicidio della povera Andromaca e di Molosso, il neonato avuto da Neottolemo. Senza prezzo, a mio parere, è stato assistere ai cambiamenti apportati dall’autrice. Alla gelosia cieca si sostituisce la pietà, alla rabbia il rispetto. Ermione e Andromaca, due donne che il destino ha separato per renderle rivali, si scoprono quindi complici, amiche.
«Cosa vuoi saperne dell’angoscia, della morte, della solitudine? La mia casa è stata bruciata dalla tua gente, mio marito è stato assassinato e umiliato dalla tua gente, le mie cognate sono state stuprate e uccise dalla tua gente, mio figlio è morto a causa della tua gente, e io ora sono schiava della tua gente. Ho perfino dovuto partorire per la tua gente. Quindi riportami pure in quella tomba lontana, ma non fingere che per te sia la stessa cosa.»
Ermione, Valentina Ferrari

A narrare del sangue che bagna il palazzo di Micene è invece Eschilo. Nei tre libri dell’Orestea – formata da Agamennone, Coefore ed Eumenidi – viene raccontato il ritorno in patria di Agamennone, assassinato dalla moglie Clitemnestra per vendicare la morte ingiusta di Ifigenia, e la conseguente vendetta del principe Oreste che si abbatte sulla madre, incorrendo nella folle persecuzione da parte delle Erinni.
Delicatissimo, infine, l’omaggio alle Heroides dell’autore latino Ovidio, una raccolta di epistole immaginarie scritte da grandi eroine mitologiche ai loro amanti. Tra queste si trovano anche le lettere di Ermione a Oreste – nonché quelle di Elena a Paride, e di Paride a Elena.
“Io, Ermione, mi rivolgo a te, una volta cugino e marito, ora solo cugino: il nome di marito spetta ad un altro.”
Heroides, VIII, Ovidio
Ermione di Valentina Ferrari: perché dare una possibilità a una rielaborazione mitologica
Se come me, all’annuncio dell’ennesimo retelling mitologico, oscillate tra l’entusiasmo e il terrore, fidatevi, date una possibilità a Ermione. Valentina Ferrari intesse una cornice elaborata, capace di intrappolare il lettore con il suo stile ricercato ed evocativo. Seguendo la narrazione in prima persona della protagonista – una cascata di pensieri intrecciati, estremamente realistici, ma sempre ben calati nel contesto di ambientazione epica –, danziamo tra aule di palazzi lussuosi, ginnasi e foreste. Personalmente, sono rimasta catturata dalla capacità dell’autrice di mantenere salda l’attenzione, nonostante la nitida possibilità di incorrere in descrizioni che avrebbero potuto annoiare il lettore, data la ripetitività delle attività quotidiane femminili. Inoltre, credo che questo romanzo incarni un solido esempio dell’equilibrio tra rielaborazione innovativa e attinenza al mito originale.

Tutte le strade portano a Troia, sicuri che non fosse questo il detto? In qualche modo, ogni mito sembra ricondurre al gigantesco evento – letterario, più che storico – che è stata la guerra di Troia. Questa rielaborazione, fresca e scenografica, permette di scorgere la vicenda da lontano, attraverso gli occhi di chi, la guerra, l’ha subita sulla pelle ancora giovane. Oreste, figlio ignorato di una madre in lutto, costretto a macchiarsi di sangue perché quello è il suo dovere. Ermione, la figlia bellissima della donna più bella, la ragazza che tutti giudicheranno sempre e solo in base all’aspetto. Ma, forse, non sarà più così.
Io, però, non ero ancora pronta ad arrendermi al fato, io volevo solo combattere, più veloce del taglio delle Moire.
Ermione, Valentina Ferrari
Valentina Ferrari ai microfoni di Strega su Ermione
