
Supersaurio di Meryem El Mehdati è il romanzo di una generazione
Arriva un momento, leggendo Supersaurio, in cui viene da chiederti: ma com’è possibile che Meryem El Mehdati sappia così bene cosa sto vivendo, cosa ho vissuto, cosa provo? Come fa a sapere chi sono se non ci siamo mai incontrate?
E te lo chiedi non è perché ti ci ritrovi genericamente, in modo vago e simbolico, ma perché riconosci le espressioni, i pensieri, le paure, le fughe interiori che abitano ogni pagina del romanzo. Tutto è scritto esattamente come lo diresti tu, o una tua amica con cui ti scambi messaggi vocali chilometrici su WhatsApp. Tu millennials o Gen Z, che stai arrivando per la prima volta nel fantomatico mondo del lavoro. Il tempo degli stage è finito – così dicono – ed è ora di fare sul serio: tirati su le maniche e inizia a lavorare (o nel caso, accomodati a leggere Supersaurio).
Supersaurio e quella volta che lavorare è diventata una cosa da millennial
La protagonista del romanzo è Meryem – nient’altro che l’alter ego romanzato dell’autrice – è una giovane donna trentenne delle Canarie con origini marocchine, che lavora negli uffici della catena di supermercati Supersaurio. Un lavoro “di quelli veri”, direbbero molti boomer. Peccato che sia anche un lavoro alienante, svuotato di senso, permeato da un linguaggio aziendalese sterile e da dinamiche tanto assurde quanto drammaticamente riconoscibili. Se c’è una mascotte, è un dinosauro; se c’è un tempo per respirare, è cronometrato; se c’è un ideale, è quello dell’adattabilità cieca. E in questo scenario grottesco, la protagonista resiste, giorno dopo giorno, coltivando una rabbia lucida e una voce interiore troppo forte per essere ignorata e che riversa in un diario non convenzionale tra lei e il lettore e un forum di fanfiction con i suoi colleghi di lavoro e i personaggi di Twilight e Harry Potter.
E così riversa tutto il suo disappunto per tutti gli obiettivi promessi a seguito di lauree e master importanti, ma mai esauditi. Ogni mattina si sveglia, prende l’autobus e in piena frustrazione esistenziale si dirige negli uffici di Supersaurio, da cui vorrebbe licenziarsi, ma non è ancora un’opzione valida.
Meryem non è simpatica. Meryem è reale
Il titolo, Supersaurio, è già una dichiarazione d’intenti. Il “supersauro” è l’animale preistorico che dà il nome alla mascotte aziendale dell’impresa dove lavora Meryem: una catena di grande distribuzione romanzata della realtà lavorativa contemporanea, con i suoi badge, le pause calcolate al secondo, le comunicazioni via mail impregnate di burocrazia aziendale e la retorica opprimente della produttività spacciata per motivazione.
Ma “supersaurio” è anche la protagonista stessa: Meryem è fuori posto, troppo viva per adattarsi, troppo lucida per farsi andare bene le cose, troppo onesta per far finta di crederci davvero. Una creatura precaria, disillusa, un po’ sconfitta ma mai veramente arresa. Non è un’eroina, non ha risposte, non è sempre simpatica né sempre coerente. Ma proprio per questo è incredibilmente vera. Non vi starà sempre simpatica, a volte le sue lamentele diventano eccessive, così come i suoi sogni d’amore controversi, ma non per questo è meno reale. Forse Meryem lo è troppo.
Paradossalmente, Meryem, così stufa della realtà che la circonda, è la cosa più reale nella sua storia. E tutti potremmo essere, siamo, Meryem.
Il salto di qualità non lo fai da Supersaurio, ma leggendolo
Se c’è una cosa che Supersaurio riesce a fare in modo magistrale è raccontare il mondo del lavoro senza cadere nel pietismo o nella denuncia sterile. La scrittura di Meryem El Mehdati è diretta e affilata, intima e provocatrice. Sembra di leggere i messaggi che ci mandiamo a fine giornata, quando serve solo una persona che ci capisca senza giudicarci. La storia di Meryem si sviluppa senza alcuna pretesa letteraria, ma con una precisione chirurgica nel descrivere ciò che spesso nemmeno sappiamo spiegare a parole: la stanchezza che non passa, il desiderio confuso di scappare via, l’ansia di dover dimostrare sempre qualcosa – a sé stessi, ai genitori, al mondo.
Questo è il muro contro cui sbatte ogni giorno la generazione millennial, e sta iniziando anche il turno della Gen Z. La realtà del lavoro è quella in cui nessuno crede davvero, ma che si deve fare per pagare l’affitto, per dimostrare qualcosa a qualcuno, per non sentirsi del tutto inutili. Una gavetta che non porta da nessuna parte, perché non è nemmeno più una gavetta: è già il massimo a cui si può aspirare, in un sistema che ha smesso da tempo di promettere il “salto”.

Meryem lavora nel reparto comunicazione di questa grande azienda, ma di creativo non c’è nulla. I suoi giorni sono una sequenza di mail senza senso, file Excel, richieste assurde, capi infantili e colleghi che sembrano usciti da una tragicommedia sull’ipocrisia. Il tutto scandito da un linguaggio aziendalese fatto di “vision”, “rebranding”, “ottimizzazione”, “interazione diretta col cliente”, che la protagonista traduce con lucidità feroce e ironia micidiale.
Ma Supersaurio non è solo un romanzo di lavoro. È un romanzo sull’identità, sull’appartenenza, su cosa significa essere donna, essere figlia, essere cresciuta in un Paese dove sarai per sempre quella straniere, essere giovane ma già stanca. E su cosa significhi, soprattutto, portare tutto questo dentro a un sistema che pretende che tu lasci fuori la tua complessità per farti stare in una casella. Meryem El Mehdati non urla queste cose ma le mostra. Ce le mette davanti, crude, senza bisogno di abbellirle.
Il romanzo che ti accompagna nel mondo del lavoro
Il romanzo Supersaurio di Meryem El Mehdati, portato in Italia da Blackie Edizioni, si inserisce con forza tra le narrazioni contemporanee più interessanti sul mondo del lavoro e sulla generazione dei trentenni di oggi: una generazione che non ha conosciuto stabilità, che si muove in un mercato precario, che ha interiorizzato l’idea di essere sempre in difetto. Non c’è nessuna retorica motivazionale in queste pagine, nessun “ce la farai se ti impegni abbastanza”. Solo la realtà, nuda e concreta. Ed è proprio questa onestà a rendere il libro necessario.
Supersaurio non è un romanzo che consola, ma accompagna il lettore in questo strano mondo del lavoro d’ufficio. È il romanzo per chi si sente fuori posto, per chi lavora troppo e vive poco, per chi ha smesso di credere nelle promesse degli adulti: questo romanzo non offre soluzioni, ma finalmente dà voce. Una voce vera, acida a volte, ma profondamente umana.