
Amarsi in una casa infestata: un esorcismo sentimentale
Amarsi in una casa infestata, primo libro di un autore italiano del catalogo di Mercurio, è molto più di un racconto di fantasmi. Non lasciatevi trarre in inganno dal titolo, oltre la copertina, così come oltre le mura della casa stessa, si nasconde molto di più. Matteo Cardillo firma un esordio che mescola ricordo e persecuzione, corpo e architettura, in una narrazione che è a metà tra una confessione e una seduta spiritica.
Una casa che respira: memoria e maledizione
Vivere in una casa infestata mi ha insegnato che non si dimentica mai veramente.
Amarsi in una casa infestata, Matteo Cardillo
Fin dalle prime pagine, Cardillo incanta chi legge con una prosa evocativa, densa e musicale, che si muove tra l’horror domestico di Shirley Jackson e il lirismo crepuscolare di Cesare Pavese, e ci trascina nella storia proprio come la casa trascina a sé i suoi abitanti. La narrazione apre le porte all’appartamento al pianterreno di viale XII Giugno, in una Bologna tanto quotidiana quanto effimera, e accoglie chi legge, assieme ai personaggi, in un luogo che respira, trattiene, scruta, e attende. Una casa che emerge dallo sfondo e diventa essa stessa personaggio attivo della storia, non solo testimone silenzioso delle vite di chi abita tra quelle mura, ma agente attivo delle sventure dei loro abitanti. Piatti distrutti, lampadari divelti, muri sussurranti sono solo l’inizio di una storia in cui il male ha radici ben più profonde di uno spirito dispettoso.

Le stanze si saturano di assenze non nominate e di presenze mai invitate, di sguardi evitati e di occhi che fissano nell’ombra, di gesti che si fanno eco. La casa – con il suo respiro umido, con il battito ritmico delle tubature, con le falene che orbitano ostinate attorno alla luce – registra ogni variazione d’umore, ogni scarto emotivo. Non serve nominarla, la presenza asfissiante della perdita: basta restare in ascolto del legno che si lamenta sotto passi leggeri, del vuoto che si allarga tra una porta chiusa e l’altra.
La casa: organismo vivo, quasi una divinità minore in cui tutto succede ed è già successo, sensibile alle passioni e ai conflitti di chi la abita. E mentre i protagonisti tentano di ricostruire legami o di lasciarseli alle spalle, le sue pareti raccolgono tutto: il desiderio, la colpa, la memoria, trasformando il quotidiano in una soglia sottile tra il visibile e l’occulto.
Un’intima inquietudine
Cardillo prende in prestito topoi della letteratura horror – il bambino spettrale, la vecchia donna nuda allo specchio, il seminterrato come un luogo inavvicinabile – per restituirli a una dimensione emotiva, personale. Non ci sono jumpscare in queste pagine: l’orrore è una lenta infiltrazione, come una macchia sul soffitto che ogni giorno diventa silenziosamente più grande. Allo stesso modo il rantolo malato della casa diventa sempre più spasmodico, e con costanza e ineluttabilità la casa si fa strada nelle vite dei personaggi.
Quasi impercettibilmente, Cardillo introduce una svolta narrativa che lo allontana dai canoni classici del gotico: la casa non è più soltanto l’entità che infesta, ma anche quella che viene infestata. Ogni personaggio, in realtà, è portatore di un fantasma – talvolta proprio, talvolta altrui – che si manifesta non con apparizioni spettacolari, ma con sussurri emotivi e inquietudini taciute. L’orrore non esplode mai: si sedimenta. È fatto di capelli strappati nel sonno, sogni condivisi da madre e figlia, visioni spettrali che si dissolvono appena voltato lo sguardo. La scrittura di Cardillo non cerca lo spavento facile, ma il turbamento profondo, quello che arriva quando una frase ti costringe a rileggere, quando ti accorgi che qualcosa di importante è accaduto, e non te ne sei nemmeno reso conto.

Dare forma all'invisibile
Il grande pregio del romanzo sta proprio nella sua capacità di mettere in scena l’invisibile. Gli spettri sono crepe nei rapporti, memorie che non si sono ancora spente, tensioni tra chi desidera e chi si nega. I personaggi convivono con l’inspiegabile perché l’inspiegabile è dentro di loro: la vergogna, la fame d’amore, il dolore che si trascina, la rabbia che non trova parole. L’interiorità si rifrange nello spazio fisico, e la casa – con i suoi corridoi bui, le sue stanze sbarrate, i suoi vetri opachi – diventa lo specchio deformante delle loro emozioni più segrete.
Tutto questo culmina in una frase che non suona come una rivelazione, ma come una verità taciuta troppo a lungo: “I morti vogliono essere visti.” È il cuore segreto del romanzo, il suo nucleo più vulnerabile. Perché qui i fantasmi non chiedono vendetta, ma riconoscimento. E vedere – ricordare, accogliere, dare forma – è l’unico gesto che conta davvero. Ogni crepa nel muro, ogni sospensione nel dialogo, ogni oggetto dimenticato in soffitta si fa archivio, soglia, tentativo. Amarsi in una casa infestata diventa così un atto di evocazione: non per trattenere ciò che è stato, ma per concedergli finalmente un luogo in cui andare.
Andare oltre l’inchiostro
Matteo Cardillo costruisce con rara sensibilità un racconto che si legge tutto d’un fiato, riuscendo a costruire una dolorosa e toccante storia fatta di amori, delusioni e fantasmi in poco meno di 300 pagine. Amarsi in una casa infestata è inquietante senza mai essere grottesco e resta intrinsecamente intimo pur riuscendo a toccare corde dell’universalità. L’esordio (o meglio, rito di passaggio) di Cardillo è un romanzo che rimane addosso. Come quella sensazione inspiegabile di sentirsi osservati da una presenza silenziosa, nascosta appena oltre il bordo del nostro campo visivo.