Parthenope di Paolo Sorrentino, la recensione senza spoiler
Ferma la nave, ascolta la nostra voce. Nessuno è mai passato di qui con la sua nave senza ascoltare il nostro canto dolcissimo: ed è poi ritornato più lieto e più saggio.
Odissea, Omero
È ancora recuperabile in sala Parthenope, ultimo film scritto e diretto dal regista campano Paolo Sorrentino, nome fondamentale per il cinema italiano da ormai quasi trent’anni, vincitore del Premio Oscar Miglior film straniero nel 2014 con La Grande Bellezza, film a cui in qualche modo si ricollega proprio la sua ultima nuova pellicola.
La trama in breve (senza spoiler)
Nel 1950, dalle acque del Golfo di Napoli, nasce Parthenope (Celeste Dalla Porta), una ragazza destinata a diventare da subito bellissima e impossibile, attraente ed ineffabile; una femme fatale a tratti inconsapevole, attorno alla quale ruoterà una epopea epica ed allegorica, in cui la sua vita diventa metafora della storia di Napoli fino ai giorni nostri.
Chi è Parthenope?
Il decimo lungometraggio di Paolo Sorrentino ben si colloca all’interno del suo filone estetico ed espressivo più magniloquente e decadentista, in cui possiamo ritrovare anche film come This Must Be The Place (2011), Youth – La Giovinezza (2015) o il già sopracitato La Grande Bellezza (2013). Film di chiara ispirazione felliniana, in cui sogno e realtà si fondono insieme in immagini fatte di surrealismo e dialoghi enfatici, a tratti ridondanti.
In questo caso, partendo dal mito di Partenope, sirena mitologica la cui leggenda vuole fondatrice e protettrice della città di Napoli, il regista decide di portare avanti una storia fatta di continui salti spazio-temporali e allusioni metaforiche, il tutto per mostrarci la città di Napoli, una donna bellissima e dannata, che cattura chiunque, risparmiando nessuno. Tuttavia, il film divide molto il pubblico, arrivando non a tutti nel suo intento, forse proprio a causa di una incompiutezza dell’idea di base.
La narrazione arranca molto, incagliandosi in frasi ad effetto spesso prive di utilità e che suonano forzate e fini a se stesse. La protagonista, interpretata da una esordiente Celeste Dalla Porta, che ammalia chiunque con la sua bellezza esteriore e la sua brillantezza interiore, non riesce a sortire lo stesso effetto su gran parte del pubblico, a cui risulta stucchevole, irritante e poco approfondita psicologicamente. Nonostante lei abbia sempre la risposta pronta e sia una furbona, due cose che le vengono dette letteralmente più volte nel corso del film, spesso appare vuota e piatta, illusoria e ambigua proprio sì come una sirena, ma in modo superficiale sia a livello registico che attoriale. In generale, i dialoghi suonano finti, un accompagnamento forzato ad una fotografia fin troppo patinata, dove ogni frame sembra quasi uno spot pubblicitario.
La rappresentazione femminile nel film di Sorrentino
La rappresentazione femminile è stato uno degli aspetti più criticati del film, dividendo tra chi ha amato l’aura magica e incompiuta di Parthenope e chi ha tacciato di sessualizzazione e sessismo la sua rappresentazione. Celeste Dalla Porta, guidata dall’occhio di Paolo Sorrentino, dà vita a un personaggio problematico non tanto, secondo noi, per la sua carica erotica ambigua, che anzi poteva, volendo, essere ulteriormente esplicitata, ma per la inverosimiglianza con cui è rappresentata, risultando troppo poco approfondita e non degno specchio di tutti i contrasti e le sfaccettature che sembrano comporla sia come donna che come allegoria della città di Napoli.
Sono molte, infatti, le scene in cui il personaggio appare abbozzato e fuori luogo, scritto da un occhio maschile non tanto in quanto sessualizzante, ma quanto più approssimativo e legato più a manierismi e giochi di stile, invece che a una autentica elaborazione di Parthenope. In generale, lo sguardo, che è al centro del film su più livelli, è troppo spesso fine a se stesso e poco rielaborato. L’utilizzo eccessivo di ralenti, primi piani vuoti e paesaggi da cartolina, svuotano e riempiono lo sguardo allo stesso tempo, dando vita in tanti momenti a una pomposità fine a se stessa. In questo caos di alti e bassi, Paolo Sorrentino si comunica stanco e annoiato, proprio come la stessa Parthenope, ma come lei anche il regista non riesce a comunicare se stesso con sincerità e concretezza. Degne di nota le interpretazioni di Luisa Ranieri, Silvio Orlando e Gary Oldman, che con i loro personaggi sembrano riportare la storia su un piano più terreno e tangibile.
Se lo sguardo cinematografico decide di diventare analisi antropologica sia nel mondo della storia che in quello del regista, dunque, il pubblico deve lasciarsi andare a quasi tre ore di elogio e invettiva di una Parthenope (Napoli) spesso incompiuta, in cui la meraviglia delle immagini appare troppo costruita e non capace di restituire a pieno la complessità della storia che desidera raccontare.