Ursula K. Le Guin e Neon Yang
La tetralogia silkpunk de “Il Tensorato” di Neon Yang se ne sta nascosta tra gli scaffali Young Adult e Fantasy. I quattro volumetti, con i loro 17 cm di altezza e 12 cm di larghezza, scompaiono facilmente al confronto con volumi ben più imperiosi, eppure lasciarseli scappare sarebbe un peccato. D’altronde non è meraviglioso riuscire a trovare libri capaci di creare ponti? Neon Yang un ponte solidissimo lo costruisce tra il suo lavoro e un’autrice attiva più di cinquanta anni fa: Ursula K. Le Guin.
Silkpunk: il genere a cui Neon Yang si è ispirat*
Partiamo dal principio. Cos’è il “silkpunk“? Inventato e definito dall’autore Ken Liu, il termine viene spesso inteso come generica descrizione di ambientazioni “Asian-influenced“, ma c’è di più: le storie silkpunk mescolano magia e tecnologia in mondi in cui quest’ultima è concepita come una forma d’arte, un linguaggio poetico. Gli ingegneri sono l’equivalente degli aedi greci, dei cantastorie e dei bardi. Lo stesso Ken Liu ha descritto il genere in occasione di un’intervista per presentare La Dinastia del Dente di Leone, saga iniziata nel 2020 con La grazia dei re:
“Silkpunk” è il termine che ho inventato per descrivere l’estetica tecnologica che volevo imprimere alla Dinastia, nonché il mio approccio letterario alla serie. Sono stato influenzato dalle idee di W. Brian Arthur che vedeva la tecnologia come un linguaggio. Il compito di un ingegnere è simile a quello di un poeta, nel senso che l’ingegnere deve combinare in maniera creativa componenti già esistenti per risolvere problemi inediti, realizzando artefatti che diventano a tutti gli effetti nuove espressioni di questo linguaggio tecnologico.”
Il Tensorato di Neon Yang
La storia di Neon Yang si svolge in un mondo in cui la tecnologia rappresenta una forma di liberazione dalle stringenti maglie della “Slasca“, l’energia magica che (apparentemente) soltanto alcuni possiedono. Attraverso le storie e le esperienze dellɜ gemellɜ Akeha e Mokoya entriamo nelle fila dei Macchinisti, i ribelli che si oppongono allo strapotere di Hekate, la Protettrice e madre di Akeha e Mokoya. È una storia di crescita e formazione ma non segue le tappe classiche del genere, appunto. È una storia corale, di comunità, dove non c’è “l’eroe” ma persone fallibili e imperfette che lottano per la liberazione di tutti.
La novità più interessante (che propriamente novità non è, come vedremo con l’opera di Ursula K. Le Guin) è la rappresentazione del genere e dei generi che Yang, autorə non binariə, offre soprattutto nei primi due volumi (“Le maree nere del cielo” e “I fili rossi della fortuna”) ma anche di una possibile libertà relazionale che risulta ancora difficile da immaginare oggi. Lɜ protagonistɜ (la schwa, al singolare e al plurale, viene utilizzata nel testo in traduzione), lɜ due gemellɜ, così come tuttɜ lɜ altrɜ abitanti del Protettorato non hanno un genere definito alla nascita e hanno facoltà di sceglierlo una volta raggiunta la maturità. Bellissimo, nel primo volume, il racconto di come la scelta di Akeha e Mokoya influirà sul loro rapporto. Nel corso della saga di Neon Yang si avvicendano poi le storie di persone che non si identificano in nessun genere, persone poliamorose, persone costrette in un genere che ha limitato la loro visione della vita. Il romanzo è un ventaglio di realtà di genere, sessuali e amorose estremamente al passo con i tempi, affascinante e, sotto certi aspetti, rivoluzionario.
La mano sinistra del buio di Ursula K. Le Guin
Parlare di questo espediente narrativo non può che ricordarci una pietra miliare della letteratura fantascientifica mondiale: “La mano sinistra del buio” di Ursula K. Le Guin. Pubblicato in una nuova edizione a ottobre 2021 da Mondadori, ha trovato la sua nuova veste nella collana dei classici contemporanei “Cult”. Sta quindi alla sensibilità delle librerie la scelta dello scaffale in cui posizionarlo, ma che si tratti di un libro di fantascienza è indubbio, sebbene la scrittura di Le Guin sfugga facilmente a una categorizzazione rigida. Lei stessa nel corso della sua vita ha resistito strenuamente ai tentativi di critici, opinionisti, recensori che cercavano di fare di lei una “scrittrice femminista” o una “scrittrice fantastica”. Le Guin era tutto questo e molto di più e con la sua scrittura ha provato a raccontare la complessità dell’umano che non può essere contenuto e costretto da un’unica definizione, tramandando una lezione culturale e letteraria che Neon Yang sembra assorbire.
La storia si svolge su Gethen, o Inverno, un pianeta in cui Genly Ai, uno dei protagonisti, un umano, viene inviato come ambasciatore per convincere chi lo governa a unirsi all’Ecumene (una sorta di unione intergalattica di mondi che garantisce pace e prosperità ai pianeti che ne fanno parte). Anche in questo caso ci troviamo di fronta una popolazione senza genere definito, con un ciclo sessuale di circa 28 giorni la cui ultima fase viene definita “kemmer”. La fase culminante del kemmer è accompagnata da un impulso sessuale che spinge un getheniano a cercare un suo simile con cui accoppiarsi, ed è in questa fase che nei partner si attiva una sorta di predominanza maschile o femminile che può cambiare nel ciclo sessuale successivo. Il resto della loro vita è vissuta in una fase di “inattività” che però non viene mai concepita come “incompletezza”:
“Eppure, è impossibile pensare ai getheniani come a neutri. Non sono neutri. Sono potenziali, o integrali.”
Il testo di Ursula K. Le Guin supera i confini temporali perché anticipa i tempi, con incredibile lungimiranza ci parla di ciò che ci riguarda, ciò che ci caratterizza e ciò che ci limita come società e umanità, nonostante sia stato scritto nel 1969 .
I capitoli raccontati in prima persona da Genly, che occupano quasi interamente la prima metà del libro, si alternano a brevi leggende o racconti mitici di Gethen che ci aiutano a entrare un po’ più in contatto con questo mondo così complesso. Più avanti i resoconti dell’Inviato lasciano spazio alle riflessioni di Estraven, unə indigenə di Gethen cadutə in disgrazia. Questo continuo cambio di prospettiva ci permette di immedesimarci sia nel nostro simile terrestre Genly, sia nell’alieno, e capiamo fino in fondo le sue perplessità, le sue motivazioni, le sue peculiarità per accorgerci che, al netto di tutto, non ci sono poi così tante differenze tra l’uno e l’altrə. Entrambə vivono uno shock culturale quando scoprono l’altrə, entrambə faticano a fidarsi, a superare i propri limiti, a vedere nell’altrə una persona completa, vera, viva. I capitoli migliori sono infatti, a parer mio, gli ultimi, che affrontano da vicino il rapporto tra Genly ed Estraven e il progressivo mutare di una relazione che aveva tutta l’aria di essere irrecuperabile.
L'alieno dentro di noi
Sono fermamente convinta che senza questo “monumentale esperimento di pensiero” (così definisce Neil Gaiman il libro di Ursula K. Le Guin) sulle differenze biologiche, sociali, psicologiche, politiche e su quanto queste influiscano sull’identità di ognuno di noi, ma anche su come questa identità possa essere trasformata, piegata, riadattata di fronte all’altro senza perderne l’essenza, Neon Yang non avrebbe potuto comporre un’opera così preziosa. La grande differenza sta forse in un’evoluzione di pensiero relativamente al genere: se prima la questione identitaria era primaria ed era il nucleo attorno al cui si costruiva tutta la narrazione, ora il discorso sul genere, sui generi e sulle relazioni è un corredo, certamente fondamentale, ma che non rappresenta più il motore della storia e siamo finalmente libere e liberi di raccontare mondi diversi senza temere l’“alieno” dentro di noi.