OPINIONISTA
Mitologia e isteria collettiva: la Sirenetta

Mitologia e isteria collettiva: la Sirenetta

Potremmo decidere di ragionare sul senso che può avere dibattere sull’etnia di un personaggio mitologico o frutto della fantasia. Potremmo riflettere sulla bellezza delle infinite possibilità che offre la letteratura, quella fantastica in particolare, di immaginare esseri viventi che non potrebbero esistere altrimenti. Potremmo parlare e meravigliarci di quell’atto profondamente umano che è la rielaborazione continua e costante delle storie e di quelli che vengono chiamati “archetipi” o “topoi”. E probabilmente ne parleremo fra le righe, ma l’obbiettivo principale che mi prefiggo oggi è quello di ridicolizzare i razzisti e le loro prese di posizione contro il nuovo adattamento della splendida fiaba di Hans Christian Andersen, “La Sirenetta”.

La storia e l'interpretazione

Partiamo dalle basi. “La Sirenetta” dello scrittore e poeta danese Hans Christian Andersen, viene pubblicata nel 1837 e ai danesi la storia piace così tanto che decidono di dedicarle una statua all’ingresso del porto di Copenaghen, inaugurata nel 1913. Si tratta di una fiaba, genere ascrivibile alla letteratura tradizionale o popolare, considerato oggi narrativa per bambini e ragazzi, che ha per protagonisti esseri fantastici, i quali affrontano avventure altrettanto straordinarie per veicolare un messaggio allegorico, una morale. La storia, che tutti conosciamo bene anche grazie al primo adattamento Disney del 1989, narra la vicenda di una giovane sirena che s’innamora di un principe umano.

Il lieto fine del cartone animato, come spesso accade negli adattamenti Disney, non ha corrispondenza nella materia originale: la Sirenetta di Andersen non riesce a coronare il suo sogno di sposare il suo amato principe e perde la vita. La critica è ormai piuttosto unanime nel considerare la storia della Sirenetta un’allegoria autobiografica dell’autore, omosessuale, vissuto in un periodo storico ben più intollerante di quello attuale. È una storia che parla chiaramente della difficoltà di esprimersi liberamente (la Sirenetta perde la voce, non può comunicare) e di raggiungere la felicità, oltre che della sofferenza che comporta doversi conformare al contesto che ci circonda. In generale possiamo affermare senza troppe forzature che Andersen ha voluto rappresentare la condizione della diversità nella sua totalità. È alla luce di queste considerazioni che le rimostranze dei cosiddetti puristi risultano fuori luogo e quasi grottesche, proviamo quindi a smontarle una per una.

A chi appartengono le sirene?

La maggior parte delle persone che hanno criticato la scelta di Halle Bailey per interpretare la Sirenetta (o per meglio dire Ariel, cioè il personaggio Disney riadattato dalla fiaba) lamentano la mancata aderenza del film all’iconica rappresentazione della sirenetta bianca dai lunghi capelli rossi e, per cercare di sostenere con più autorevolezza questa rivendicazione, ci ricordano che “la Sirenetta è danese!” e quindi non può essere nera, o, tuttalpiù, che la figura stessa della sirena appartiene alla mitologia greca o nordica, ed è quindi appannaggio della cultura occidentale e bianca.

Cromolitografia di una Mami Wata, XIX secolo

Parto da quest’ultima obiezione e vi racconto la storia delle Mami Wata, divinità acquatiche della mitologia Yoruba (ma non solo, questi esseri mitologici s’incontrano anche in altre tradizioni dell’Africa occidentale) al servizio di Yemoja o Yemaja, Regina del Mare e madre di tutti gli Orisha (le divinità delle mitologie Yoruba e africane occidentali). Un articolo del magazine “Face2Face Africa” le descrive cosi: 

The deity is believed to be a woman with a half-human and half-fish appearance with the ability to transform wholly into any form of her choice. The deity could also take up the form of half-human half-snake. Her upper body is that of a woman while her lower body is a fish with a tail.

Si crede che questa divinità sia una donna metà umana e metà pesce con l’abilità di trasformarsi completamente in qualsiasi forma decida. La divinità può anche assumere sembianze metà umane e metà serpentine. La parte superiore del suo corpo è quello di una donna, mentre la parte inferiore è quella di un pesce con la coda” (traduzione mia)

Una Mami Wata è la protagonista del libro “Voce del Mare” di Natasha Bowen, autrice inglese di origine nigeriana. Il libro è un esercizio di recupero della memoria, a partire da quella personale della protagonista, Simidele (un essere umano tramutato in sirena che ha perso i ricordi della sua precedente vita), che si allarga alla totalità della memoria storica e mitica della tradizione africana Yoruba. Questo esempio è sufficiente a dimostrare che la figura della sirena non appartiene affatto al “bagaglio culturale bianco” (qualsiasi cosa significhi), ma fa parte di quell’infinita gamma di personaggi mitici che ricorrono nelle tradizioni più disparate e lontane e che appartengono a tutti e a nessuno. 

Danimarca o Caraibi?

La mitologia Yoruba affonda le sue radici in Africa occidentale (nelle aree che oggi conosciamo come Nigeria, Benin e Togo) ma ha avuto un’enorme diffusione a seguito della tratta degli schiavi anche nelle Americhe, in particolare nei Caraibi. Questo aggancio mi serve per riallacciarmi all’altra obiezione mossa dagli strenui difensori della Sirenetta bianca, quella per cui la Sirenetta non potrebbe mai essere nera perché danese. Dare per scontato che la storia sia ambientata in Danimarca solo perché l’autore era danese è di per sé un presupposto piuttosto debole. Se consideriamo poi che si tratta di una fiaba, una storia fantastica che non può essere ambientata nel mondo reale, l’obiezione si respinge da sola. Ma proviamo comunque a stare al gioco.

Ho fatto qualche ricerca a proposito dell’ambientazione più o meno realistica della storia di Andersen e ho trovato pareri molto discordanti (quasi nessuno dei quali accreditato, a riprova del fatto che non si tratta di una domanda urgente a cui trovare risposta). Gli elementi su cui basarsi per desumere il setting della fiaba sono molto pochi e vanno dal colore degli occhi del principe (“neri come il carbone”) ad alcune caratteristiche geografiche dell’ambiente (“Vide davanti a sé la terraferma, le alte montagne azzurre” o riferimenti a elementi come la “sabbia bianca” o le “grandi palme”). Alcune di queste caratteristiche hanno portato molti a pensare che la storia sia probabilmente ambientata da qualche parte nel Mediterraneo piuttosto che nel mar Baltico o nel mare del Nord. 

Dovreste aver capito, a questo punto, che dare una risposta precisa, esatta e insindacabile alla domanda “La Sirenetta è ambientata in Danimarca?” è praticamente impossibile, ma nello spirito di questo gioco ho deciso di proseguire le mie ricerche e ho trovato un video in cui una lettrice prova a rintracciare alcuni indizi che dimostrerebbero che la fiaba è ambientata nei Caraibi. Tra questi indizi quelli che mi sono parsi più convincenti sono due. Il primo è un riferimento alle “schiave” che si trova quasi alla fine della storia:

Splendide schiave, vestite di seta e oro, si fecero avanti e cantarono per il principe e i suoi reali genitori.

Nel video si parla, giustamente, del fatto che la tratta degli schiavi (provenienti dalle Indie Occidentali Danesi) in Danimarca fu abolita nel 1807, trent’anni prima della prima pubblicazione della fiaba, ma la schiavitù era ancora in vigore nelle colonie situate nei Caraibi. L’altro indizio riguarda due elementi geografici importanti, che ho citato anche più su:

Vide davanti a sé la terraferma, le alte montagne azzurre, simili a grandi cigni coricati […] e davanti al portone si ergevano grandi palme.” 

Veduta della baia di Charlotte Amalie, capitale dell'isola di St. Thomas, nelle Isole Vergini (ex colonie danesi) by Sunil Pereira - Own work, CC BY-SA 3.0

La conformazione delle montagne che la Sirenetta scorge uscendo dall’acqua ricorderebbero quelle visibili dalle coste caraibiche, per non parlare della presenza delle palme, una pianta non certo nativa della Scandinavia. Se questo fosse vero, cioè se la fiaba fosse davvero ambientata nei Caraibi, quale pensate che possa essere l’etnia della Sirenetta?

Frenare la fantasia

Quando mi trovo di fronte a persone infastidite dall’etnia dei personaggi di fantasia di prodotti letterari o mediatici (e ultimamente sta capitando piuttosto spesso, magari in futuro avremo occasione di parlare anche di quello che è successo per “The Rings of Power”) la mia reazione istintiva è la versione non raffinata di quello che ho fatto scrivendo questo pezzo: provo a pensare a tutte le contro-obiezioni che posso fare, a tutte le spiegazioni che posso trovare per giustificare le scelte editoriali o di casting, mi scervello per dimostrare punto per punto che si sbagliano. È un esercizio utile (più a noi che a loro) e, se le cose vanno davvero bene, vedere le facce dei razzisti sconfitti è una gran soddisfazione, ma la reazione successiva è una gran risata. Pensateci: quanto può essere fragile l’identità di una persona perché questa si senta minata da un prodotto della fantasia che “non la rappresenta”? Ha veramente senso cercare di ragionare con una persona che non riesce a realizzare l’importanza che ha l’allargamento non solo del pubblico dei prodotti culturali ma anche delle produzioni stesse? Queste sono suggestioni, interrogativi ai quali non so rispondere, ma che spero continueremo a porci quando saremo costretti a confrontarci con chi preferisce vedere sempre le stesse storie, sempre gli stessi colori.

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