OPINIONISTA
#fleabagera: incasinate, dissociate, vere

#fleabagera: incasinate, dissociate, vere

#fleabagera e "dissociative feminism"

All’inizio di quest’anno, mentre cercavo di navigare tra le migliaia di tendenze di TikTok che, da buona (quasi) trentenne, spesso fatico ad afferrare appieno, sono stata colpita dall’hashtag #fleabagera. Ho curiosato stancamente nel susseguirsi di video di ragazze che parlavano di quello che è stato definito “dissociative feminism” (femminismo dissociativo), il quale attinge all’immaginario della serie capolavoro di Phoebe Waller-Bridge, Fleabag, appunto. Quello che fanno le donne della Fleabag Era è dissociarsi dal proprio dolore, facendo di questa dissociazione un’efficace strategia di adattamento a un mondo che non sembra darci niente in cambio. Tuttavia, si tratta dell’ennesima versione di un femminismo bianco incapace di realizzare che la dissociazione è un privilegio, e che non tutte le donne hanno la possibilità (se mai lo volessero) di mettere un muro tra la loro condizione e il dolore che da questa deriva. La wave della Fleabag Era si è attirata non poche critiche, perché accusata di idealizzare gli atteggiamenti autodistruttivi che la protagonista (almeno nella prima stagione) non riesce a fare a meno di mettere in atto.

"A bit messy without trying"

Per qualche tempo non ho più pensato al fenomeno, finché non ho letto “Niente di Vero” di Veronica Raimo, vincitore del Premio Strega Giovani, uscito a febbraio di quest’anno per Einaudi, la quale si ostina a presentarcelo come un romanzo. Di fatto si tratta di un’autobiografia che precede per racconti, pezzi di vita che sembrano sconnessi ma che s’incastrano alla perfezione e che Raimo ci presenta con onestà e sincerità. Ho ripensato alla Fleabag Era già mentre leggevo il primo capitolo del libro e, dopo aver fatto qualche ricerca, sono incappata nella più precisa e azzeccata definizione del fenomeno che potessi trovare. Ce la fornisce Polyester, una zine online che parla principalmente di estetica femminista kitch con approccio aperto e non giudicante. Parlando del prototipo di ragazza della Fleabag Era, la caporedattrice dice:

"She’s a bit messy without trying, doesn’t give a fuck about anything, very dejected about the world and apathetic about her future. But also, on the flipside, very aware of her emotions. I don’t think we’d be seeing these TikToks if there wasn’t a certain amount of self-awareness there."

[“È un po’ incasinata ma senza farlo apposta, non gliene frega un cazzo di niente, molto disillusa sul mondo e apatica nei confronti del suo futuro. Ma anche, d’altro canto, molto consapevole delle sue emozioni. Non credo che vedremmo questi TikTok se non ci fosse un certo grado di consapevolezza di sé.”, traduzione mia]

Lo stesso grado di rassegnazione e disillusione traspare nelle parole di Raimo, così come una grande sicurezza nel dare voce alle proprie vulnerabilità e nel mettersi al centro della narrazione. Veronica racconta la storia della sua famiglia attraverso se stessa: lei è sia forma che contenuto, tema principale e corollario, senza alcuna sublimazione. Da subito Raimo ci dice che è una donna perfettamente normale, anzi forse addirittura un pelino sotto la media rispetto alle altre, è incasinata (“a bit messy without trying”), problematica, affetta dalle normali turbe che ci affliggono tutte: la sindrome dell’impostora, le aspettative di un sistema vecchio rappresentato in particolare dalla figura di sua madre, le aggressioni sessiste quotidiane, le relazioni andate male (amicali e sentimentali), la nostalgia per qualcosa di più semplice che forse non è mai esistito.

"Le donne nascono con il dolore dentro di sé"

Nel terzo episodio della seconda stagione di Fleabag, Belinda, interpretata da Kristin Scott Thomas, dice che “le donne nascono con il dolore dentro di sé” e le donne della famiglia Raimo sembrano assorbire questa verità affrontandola in maniera molto diversa. Mentre la madre si abbandona completamente a questo dolore che la schiaccia e prende il sopravvento, contagiando inevitabilmente anche gli altri (e specialmente la figlia), Veronica sembra riuscire a ignorarlo, a dissociarsene, appunto.

Tutto si svolge fra le righe. Il dolore della realtà è sottile, un rumore di fondo, la bellezza è sempre più rumorosa. Raimo non parla mai di bellezza, di meraviglia, ma loro ci sono, stanno nel poterci raccontare senza fronzoli, senza indorare la pillola, senza compiacere nessuno.
Il libro scorre velocemente e piacevolmente. Raimo riesce a parlarci di situazioni difficili senza perdere la leggerezza. Le emozioni si susseguono legandosi e mescolandosi così come gli eventi narrati. Ridiamo di gusto e poco dopo soffriamo con lei e per lei, per noi, per tutte.

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