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Barbie e l’elementare femminismo di Gerwig

Barbie e l’elementare femminismo di Gerwig

Il 21 luglio è uscito nelle sale italiane l’attesissimo film Barbie, scritto e diretto da Greta Gerwig, supportata nella scrittura dal compagno di vita e d’arte Noah Baumbach. Barbie è diventato, sin prima che uscisse, un fenomeno di costume mondiale: il mondo si è tinto completamente di rosa durante la sua promozione e l’arrivo nelle sale ha scatenato la Barbie-mania all’interno di tantissimi brand d’abbigliamento, di cosmesi o di articoli per la casa. Ma insieme a tutto questo scintillio, il film Barbie ha portato con sé anche moltissime critiche e controversie. Ne riassumo alcune: Barbie è un film contro gli uomini? Si può parlare di femminismo quando a farlo è un prodotto così schiettamente capitalista? Barbie è il soggetto ideale per parlare di emancipazione femminile? Il film è davvero così innovativo o ricalca solo un mare di banalità? Di certo non sono io la persona adatta a dare una risposta esatta a tutti questi dubbi, ma insieme possiamo provare a ragionare sul film e ad analizzarlo con gli strumenti che abbiamo a disposizione. 

Barbie è un film STRAORDINARIO?

Il tartassante promoting di Barbie, avvenuto sui social, sul web e sui pink carpet che hanno accolto moltissimi paesi per il suo tour promozionale, hanno fatto inevitabilmente innalzare le aspettative nei confronti di questo chiacchieratissimo film che, su carta, sembrava davvero rappresentare qualcosa di straordinario, perché solo un film straordinario può generare tanto clamore, no? Ebbene, se guardiamo la storia del cinema a ritroso, di film straordinari me ne vengono in mente moltissimi: film che hanno segnato la storia del cinema per innovazione, cultura, precisione stilistica, rottura, rivoluzione, bellezza della fotografia… Barbie, come film in sé, a mio parere, non è straordinario: è un bel film, certamente, ma la sua straordinarietà non risiede nella sua valenza profilmica. Va cercata dietro, nell’idea di Greta Gerwig e della Mattel, storica casa di produzione di giocattoli che ha investito, nei lontani anni ’60, sulla bambola più famosa del mondo. 

Barbie è un film coloratissimo, con una vena estetica estremamente precisa, ricercata e strutturata. Tutto all’interno della pellicola è realizzato con estrema precisione: grazie alle ambientazioni ai costumi che popolano il mondo di Barbieland, le spettatrici e gli spettatori possono riconoscere quell’universo in cui, da bambine e bambini, si sono immerse/i, dando sfogo alla propria immaginazione. Ogni cosa è perfetta, come se fosse stata pescata direttamente dalla mente di una persona di 8 anni. Le Barbie hanno un cambio d’abito per ogni occasione, vivono in ville sfavillanti con uno scivolo che dalla camera da letto porta direttamente in piscina! Hanno il frigo pieno di succhi di frutta coloratissimi che non possono bere e volano giù dal tetto invece di scendere le scale, proprio come se una mano invisibile le facesse giocare senza che ce ne rendiamo conto. Per le Barbie c’è una festa ogni sera ed ogni sera è dedicata ad un pigiama party per ragazze, dove i Ken non sono ammessi. Barbieland è il mondo dei sogni, fatto su misura per le bambine che sono cresciute immaginando di essere Barbie. Sì, ma chi è, o cosa rappresenta, Barbie? E cosa ne penserebbero le bambine, una volta diventate adulte, di Barbieland?

Il mito di Barbie e la coltura del "puoi diventare ciò che vuoi"

Il tassello fondamentale per capire l’importanza dell’oggetto Barbie risiede nel capire cosa ci fosse prima della messa in commercio della bambola. Il film ce lo espone tramite la sequenza iniziale, palesemente ripresa dalla scena del monolite di 2001: Odissea nello spazio, in cui un gruppo di bambine distruggono i loro bambolotti nel momento in cui vengono a contatto con la gigantografia della prima Barbie. Fino al 1959, anno della messa in produzione della prima Barbie, le bambine erano costrette ad una scelta ben limitata di giochi. L’elemento che unificava tutti questi balocchi era lo scopo di proiettare le bambine verso un futuro accudente e casalingo: bambolotti da portare in carrozzina e a cui cambiare il bavaglino, ferri da stiro giocattolo e cucine giocattolo. Sin da piccolissime le bambine venivano educate, attraverso il mondo dei balocchi, a ricoprire un ruolo ben preciso all’interno della società: quello di madri e mogli. Barbie, derivata dalla geniale intuizione di Ruth Handler, si è imposta sul mercato come una vera e propria rivoluzione: una bambola che non rappresentava qualcosa da accudire ma qualcosa in cui sperare di diventare. 

Dal derivante successo della prima Barbie ne sono nate moltissime altre, e così le Barbie non sono diventate solo sbarazzine bambole in costume da bagno, ma vere e proprie professioniste in ogni ambito. Nasce Barbie infermiera, dottoressa, avvocata, surfista, stilista, veterinaria! Barbie inizia ad essere accompagnata da mille accessori che hanno tutti la caratteristica di essere di proprietà del personaggio Barbie. La casa di Barbie, la macchina di Barbie, il camper, la piscina, l’elicottero! Insomma, Barbie diventa un vero e proprio simbolo di emancipazione femminile, che fa pian piano capire alle bambine che possono desiderare non solo di essere quello che vogliono, ma di poter possedere, un giorno, quello che vorranno. So che a noi contemporanei questi concetti sembrano oramai scontati, ma negli anni ’60, dove moltissime donne ancora dipendevano dai propri padri o dai propri mariti, senza possedere nulla di proprio, escluse da ampissimi ambiti professionali, questo rappresentò una rivoluzione. 

Ovviamente dietro ogni favola c’è sempre un lato oscuro. Oggi moltissime sociologhe e femministe storiche riconoscono nell’oggetto Barbie una grave problematica: quella di incarnare un modello estetico sempre uguale a se stesso e inarrivabile nella realtà. Infatti, se Barbie può essere ciò che vuole, può esserlo solo se bianca, magra, bellissima e ricca. Con il tempo il primo grado di emarginazione è stato superato, con la prima Barbie nera prodotta nel 1979, ben vent’anni dopo l’originale. Ma tutto il resto è rimasto invariato fino ai giorni d’oggi. Anche questo aspetto cerca di essere decostruito dal film di Gerwig, ma fino ad un certo punto. Di fatto, la protagonista del film incarna ancora tutti gli stereotipi sopra elencati, non a caso si tratta proprio di Barbie Stereotipo: la scelta di usare questo genere di protagonista si spiega proprio con la decostruzione del personaggio stesso che, se non dimostra difetti all’esterno, è irrimediabilmente “rotta” all’interno. 

Margot Robbie e il viaggio della sua Barbie Stereotipo

Il film Barbie non presenta nulla di rivoluzionario neanche dal punto di vista narrativo. Infatti, quello a cui assistiamo è un classicissimo viaggio dell’eroe (o, in questo caso, dell’eroina), in cui la protagonista intraprende un percorso alla ricerca di sé. Il film, seguendo in maniera accademica la partizione in tre atti aristotelica, incomincia in una situazione di equilibrio, dove Barbie dà continuamente feste incredibili nella sua villa pazzesca, vivendo la sua routine perfetta senza alcun intoppo. Tutto cambia nel momento in cui Barbie si rende conto di pensare continuamente alla morte. Questa crisi viene perpetrata dall’incapacità di restare sulle punte una volta tolti i tacchi, ma di avere i piedi piatti, seguiti dalla cellulite sulle gambe e da un senso di vuoto che le pervade la mente. 

Fatto un salto da Barbie Stramba (velato omaggio al personaggio di Pris di Blade Runner ed interpretata nel film da una divertentissima Kate McKinnon), Barbie scopre di dover intraprendere un viaggio nel Mondo Reale per ritrovare la bambina che gioca con lei, perché a quanto pare le tristezze dei giocatori si riflettono sui giocattoli e l’unico modo per tornare la Barbie Stereotipo perfetta è quello di sanare i problemi che affliggono la bambina a cui appartiene. Proprio come Doroty di Il mago di Oz, Barbie parte a bordo della sua decappottabile rosa alla volta del Mondo Reale, attraversando una lunga autostrada composta da mattoncini rosa. Ma i guai non smetteranno di arrivare una volta scoperto il Mondo Reale, anzi, ogni cosa sembrerà ribaltarsi nel momento in cui Barbie inizierà a capire che non è tutto meraviglioso quel che è di colore rosa.

Il femminismo che ci fa giocare ma anche riflettere

Veniamo al succo di questo articolo e poniamoci la domanda fondamentale che accompagna la visione di questo film: Barbie è un film femminista? E se lo è, riesce nel suo scopo di esserlo? Barbie è in tutto e per tutto un film che affronta tematiche femministe, anche se non lo fa a 360° gradi. Lo si potrebbe definire un film “elementare”, l’ABC del femminismo e, se anche voi l’avete percepito in questo modo, congratulazioni! 

Vedere il film di Greta Gerwig mi ha fatto riflettere molto. Quando sono uscita dalla sala cinematografica, in realtà, ero leggermente delusa. Quello che mi è venuto immediatamente da pensare è stato: tutto qui? Ma poi ho fatto un passo oltre. Conoscono bene l’autrice dietro questa pellicola, che ha saputo commuovermi con il suo Lady Bird e intenerire con il suo Piccole donne da Oscar. Strano che un’autrice così navigata proponga senza doppi fini un film tanto semplice. Credo proprio che la semplicità di Barbie sia, ahimè, necessaria. Barbie è un film che, in qualche modo, inganna: la sua tartassante promozione ha avuto come scopo quello di portare al cinema il maggior numero di persone, specialmente persone giovani (ma non solo, poiché solo la scelta di usare un oggetto così intragenerazionale come Barbie avrà catturato l’attenzione di persone di tutte l’età). I grandi numeri raggiunti da Barbie hanno una finalità precisissima, che giustifica le fattezze semplicistiche (solo apparenti) del suo messaggio. 

Barbie, esattamente come una favola, esattamente come un giocattolo, si pone l’obbiettivo di educare le nuove e vecchie generazioni statunitensi. Parlo solo di Stati Uniti perché, secondo me, questo film fa capire quanto la società americana sia rimasta incredibilmente indietro rispetto a quella europea. E in questo discorso non includo paesi come Cina o mondo arabo conservatore perché anche in quel caso fallirebbe lo scopo del film, ancora troppo lontano per raggiungere mentalità così complicate come quelle sopracitate, dove i problemi del femminismo sono ben altri da superare. Nonostante il divario di genere sia presenta anche in Europa, negli USA e in America Latina rappresenta una vera e propria piaga sociale, dimostrata dalla scarsissima presenza di donne in ruoli di potere (specialmente politici) e di una ben più pressante situazione di soprusi e violenze. I dati ci dicono che l’Europa, in ambito di parità dei diritti tra uomo e donna, supera il Nord America, nel quale ci sono gravissimi studi che dimostrano realtà preoccupanti riguardanti la sicurezza delle donne. Negli USA circa l’85 % delle vittime di violenze domestiche sono donne; secondo una statistica del Dipartimento di Giustizia, una donna su quattro è vittima di violenze domestiche almeno una volta nella vita. Gli Stati Uniti sono anche un paese profondamente razzista, incline alla violenza e in cui il possesso di armi da fuoco da parte della maggior parte della popolazione non aiuta a diminuire l’indice di aggressioni domestiche. Se il film Barbie, profondamente americano in ogni suo aspetto, si rivolge in questo modo al suo potenziale pubblico, questo mi fa riflettere su quanti passi avanti ancora debbano fare gli Stati Uniti in una direzione di rispetto e parità di genere rispetto al Vecchio Continente.

Capitalismo e femminismo possono stare insieme?

Purtroppo, a volte, affiancare concetti come femminismo e capitalismo è necessario. Nel nostro caso specifico è inevitabile: Barbie è un film e, in quanto tale, rientra in una dinamica industriale che mira principalmente a produrre profitto. Tutti i film, anche quelli che guadagnano meno al botteghino, rientrano in una dinamica capitalista e non c’è molto che si possa fare per cambiare le cose. Per quanto riguarda il rapporto con il femminismo, la mia risposta temo che debba essere positiva: femminismo e capitalismo, a volte, devono necessariamente collaborare, perché il capitalismo prevede l’arrivo di un messaggio al più grande numero di persone possibile. E lo scopo di Barbie era proprio questo: raggiungere un pubblico ampissimo per spiaccicargli in faccia, nel modo più elementare possibile, la realtà dei fatti

I giocattoli di Greta Gerwig prendono vita e lo fanno per tramandare un messaggio tanto semplice quanto incisivo. In Barbie si parla di femminismo sotto un punto di vista strettamente personale e strutturale: accettazione di sé, proprietà, canoni di bellezza estetici, valore della famiglia e della maternità, salute mentale, possibilità nel mondo del lavoro tra uomo e donna, sessualità, oggettivazione del corpo femminile, sopruso e molestia, vendetta. Ognuno di questi temi è affrontato con un’intermittenza continua di risate e lacrime, momenti euforici e buio. Ma la cosa fondamentale è che tutti questi argomenti sono agganciati in maniera strettissima allo struttura canonica della favola: abbiamo già nominato il viaggio dell’eroe, accanto al quale vediamo un villain, uno stravolgimento negativo dell’Universo della protagonista, una missione per sconfiggere il villain tramite degli aiutanti e la redenzione del villain stesso. In conclusione assistiamo al ripristino dell’ordine, ma non uguale a quello iniziale. Per proseguire nella riflessione (giuro, non ci vorrà ancora molto) devo continuare nella parte SPOILER, quindi se non avete visto il film ci dobbiamo salutare! 

Il ruolo dei Ken in Barbie e la rabbia del genere maschile

Ebbene sì, abbiamo sempre parlato di Barbie ma non abbiamo ancora mai parlato di Ken, che in questo film ha un ruolo fondamentale. Infatti, nonostante Barbie possa apparire come un film diretto “alle donne” è molto più incisivamente diretto agli uomini. Lo si potrebbe definire un manuale per combattere il maschio alpha che si annida dentro l’essere maschile, una serie di situazioni che ricalcano atteggiamenti spesso assunti dall’uomo in una società patriarcale, decostruiti e mostrati allo spettatore come simboli che rivelano una grande fragilità interiore. Una blonde fragility, per dirla con le parole di Ken. 

Ken, interpretato da un bravissimo Ryan Gosling, è proprio il personaggio che rende possibile la rottura completa di Barbieland, che rappresenta una società matriarcale in cui le donne hanno assunto tutti i ruoli di potere, mentre i Ken sono solo… Ken. Bambolotti creati in funzione di Barbie, che vivono “per essere guardati da Barbie”. Nel momento in cui Barbie parte per il suo viaggio nel Mondo Reale, Ken la segue e scopre il magico funzionamento del patriarcato: Ken vede finalmente una realtà in cui l’uomo è rispettato e temuto in quanto uomo, prevaricando la donna e permettendosi di aggredirla e minacciarla quando questa non sottostà al suo volere. Tornato a Barbieland, Ken insegna il patriarcato a tutti gli altri bambolotti, che insieme tramutano Barbieland in Kendom, l’esempio massimo di società patriarcale, dove le Barbie sono ridotte a cameriere senza cervello che smaniano per le attenzioni dei loro “maschi”. 

Ma il film Barbie, quindi, ci vuole raccontare quanto sarebbe bello un mondo governato solo dalle donne e quanto sarebbe orribile un mondo governato solo dagli uomini? ASSOLUTAMENTE NO. Le Barbie, nella loro Barbieland, trattavano i Ken esattamente come i Ken trattano le Barbie nel loro Kendom. E l’unico modo per far rinsavire Ken è quello di fargli capire che la violenza vendicativa perpetrata nei confronti delle Barbie deriva unicamente da un’incapacità di accettare se stesso per quello che è. Il dolore di Ken, che sfocia nella vendetta più becera (la sottrazione della proprietà di Barbie, l’umiliazione di tutte le donne, la demoralizzazione della donna amata), è frutto del suo non riuscire ad accettare che Barbie non è innamorata di lui: ma Ken senza Barbie che cos’è? La risposta di Barbie è: Ken senza Barbie è abbastanza. Abbastanza per scoprire l’uomo che “si cela dietro l’abbronzatura”. Quando Ken comprendere che non può esserci futuro per Barbie e Ken come coppia, scoppia in un pianto liberatorio, esprimendo tutti quei sentimenti repressi, quella “blonde fragility”, che l’aveva indotto a nascondersi dietro una corazza di violenza e prevaricazione. 

Meglio di Barbieland e di Kendom è il mondo reale

Ora che i Ken hanno fatto esperienza di loro stessi e si sono resi conto di poter ambire a qualcosa di più che essere solo muscoli da guardare, può iniziare il loro percorso, che è lo stesso e identico percorso che hanno dovuto fare le donne per sfuggire al meccanismo patriarcale che le relegava ad oggetti sessualizzati e funzionali alla vita degli uomini. Non si può tornare a Barbieland dopo la distruzione di Kendom. Si può solo fare qualche passo in avanti verso una realtà sempre più vicina (e perfezionata) del Mondo Reale. La scelta finale di Barbie Stereotipo, quella di diventare umana (scelta che, ricordiamolo, prevede anche l’accettazione della morte), è l’ultimo tassello del viaggio della nostra protagonista, la quale, dopo aver vissuto un momento di crisi esistenziale e di depressione, sceglie la lotta. Dopo aver compreso le storture dell’uno e dell’altro mondo, si cala nella realtà, in cui questa comprensione totale degli “errori di sistema” di Barbieland e di Kendom non è ancora avvenuta. Ovviamente stiamo parlando della nostra realtà, nel nostro mondo, che di certo non è completamente orribile come Kendom e neanche idilliaco come la nuova Barbieland, ma che sta ancora faticosamente camminando verso una presa di coscienza: quella della parità

Secondo me le domande che Barbie dovrebbe far porre allo spettatore di genere maschile sono le seguenti: vorrei davvero vivere in un mondo come Kendom, dove non c’è confronto tra me e la donna che vorrei amare e da cui vorrei essere amato, dove non ho possibilità di essere me stesso, dove provare sentimenti è una vergogna, dove i miei amici maschi sono maschi finché non mettono in discussione la mia predominanza, dove sono costretto ad essere il leader anche quando non è nella mia indole esserlo? Dove l’unica risposta che ho alle mie insicurezze è la violenza e il sopruso? E quello che le donne dovrebbero chiedersi dopo la visione di Barbie è: vorrei un mondo dove le donne comandano e gli uomini non hanno alcuna voce in capitolo, dove sono costretta ad essere sempre felice, bellissima ed euforica, dove le donne lontane dallo stereotipo di bellezza che incarno vengono emarginate?  Chiedetevelo, spettatori e spettatrici. Rispondete a queste domande e le risposte che vi darete vi diranno se, per voi, il film Barbie è effettivamente inutile e pieno di cose che già sapevate, oppure necessario e ricco di spunti che dovreste analizzare con la vostra coscienza. 

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