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Some Girls Do: alcune ragazze lo fanno

Some Girls Do: alcune ragazze lo fanno

Quasi alla fine del suo ultimo anno di superiori, Morgan, campionessa velocista, è costretta a cambiare istituto dopo aver scoperto che essere gay è contro il codice di condotta della scuola cattolica che frequenta. Il suo coming out ha fatto sì che la sua posizione nella squadra venisse sospesa per essere rivalutata da una commissione, fatto che ha messo a rischio anche la sua ammissione alla squadra del college che sognava. 

Il suo primo giorno nella nuova scuola non parte con il piede giusto, dato che viene quasi travolta con l’auto da Ruby, una delle ragazze più popolari dell’istituto. Ruby ha due hobby: riparare auto nell’officina dell’ex patrigno e partecipare a concorsi di bellezza locali per soddisfare le aspettative della madre, la quale le fa pesare la sua adolescenza perduta a causa del suo arrivo quando aveva appena diciotto anni. 

Le due ragazze sono subito attratte l’una dall’altra e non possono negare i sentimenti che provano. Ma mentre Morgan, orgogliosamente e dichiaratamente gay, non vuole nascondere la loro relazione, Ruby non è ancora pronta a fare coming out. 

Al di là del romance: la ricerca della propria identità

Jennifer Dugan è un’autrice statunitense che negli ultimi anni ha ottenuto un grande successo di critica, prima con il suo romanzo d’esordio, Hot Dog Girl, definito da Entertainment Weekly “una fantastica ed effervescente commedia romantica”, poi con il suo secondo romanzo Verona Comics e la graphic novel Coven. Il suo ultimo romanzo, Some girls Do: Alcune ragazze lo fanno, è uscito in Italia per Fanucci Editore lo scorso 25 novembre.

Il suo pubblico di riferimento è soprattutto quello dei giovani, che possono rivedersi nelle esperienze vissute dai personaggi delle sue storie, seppure, a parer mio, anche un pubblico più adulto potrebbe apprezzarne la lettura. È proprio la sensazione di inclusione insita in questi romanzi che ne ha determinato un così grande successo. 

Some girls do è uno young adult/contemporary romance che racconta una storia in cui possiamo riconoscerci tutti, chi più chi meno. Al di là della componente romance queer, infatti, il libro parla soprattutto di crescita, di affermazione di sé e di ricerca di se stessi.

Tutti ci siamo sentiti almeno una volta come Morgan, smaniosi di affermare la nostra identità, di batterci per i nostri diritti e tutti, come lei, spesso ci siamo sentiti dire che non è necessario far sapere la nostra opinione. Ma ci siamo sentiti anche come Ruby: combattuti, smarriti, sotto pressione, desiderosi di compiacere certe aspettative, anche quando queste non sono in linea con i nostri desideri. È Ruby il personaggio di cui osserviamo una più completa maturazione e crescita emotiva, anche perché la sua storia è molto diversa da quella di Morgan. 

Morgan ha la fortuna di crescere all’interno di una famiglia che le dona un supporto incondizionato, economicamente stabile, pronta a ipotecare la propria casa pur di finanziare la sua battaglia legale e permetterle di tornare a correre. Ruby, al contrario, subisce fin da piccola gli sbalzi d’umore di una madre tossica, che sfrutta la propria figlia per vivere i suoi sogni di reginetta di bellezza infranti. Nei confronti della madre, Ruby ha sviluppato una vera e propria dipendenza, che le impedisce per gran parte del libro di mettere se stessa al primo posto. Ruby è pronta a sopprimere i suoi veri sentimenti pur di non spezzare il cuore della madre violenta, verso la quale si sente in debito. Il colpo di fulmine tra Morgan e Ruby non è la componente centrale del romanzo, quanto la scintilla che costringe loro ad affrontare questi aspetti delle loro vite, cambiandole per sempre.

Il libro analizza quanto profondamente sia diversa per ognuno la strada che porta a capire se stessi. C’è chi lo capisce subito, chi ci mette mesi o, addirittura, anni. C’è chi non lo capisce affatto. Alcuni hanno avuto una famiglia alle spalle che li ha sostenuti, altri non hanno avuto la stessa fortuna. Il coming out non è mai un obbligo, non ha una scadenza, non ha dei paletti univoci che lo definiscono. Ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di affermare la propria identità con i suoi tempi e nel modo che ritiene più opportuno, perché è un cammino difficile, a volte percorso in solitudine, altre con qualcuno accanto. Questo è un concetto che il libro esprime a grandi lettere in una maniera dolcissima, commovente, delicata e, soprattutto, rispettosa di quella che è la comunità lgbtqia+.

La percezione dell’omosessualità nello sport

Se consideriamo lo sport come un contesto socio-relazionale al pari di qualsiasi altra organizzazione sociale, esso costituisce anche un importantissimo palco in cui gli individui possono sviluppare e conoscere la propria identità. Ciò significa che l’ambiente sportivo subisce le medesime logiche culturali e ideologiche del contesto sociale in cui è inserito.

Da sempre si parla, in relazione ai contesti sportivi, di omofobia e stereotipi di genere imperanti. È ancora opinione comune che determinati sport siano più appropriati per i maschi e altri per le femmine, stereotipo perpetuato da una parte dal fatto che lo sport rappresenta ancora una ambiente ostile alla promozione di una cultura inclusiva e non eteronormativa, e dall’altra dal fatto che anche la letteratura scientifica non tratta abbastanza l’argomento.

Nel mondo dello sport, anche il ricorso a un linguaggio omofobico e transfobico è pregnante. Sono tanti gli atleti che quando decidono di fare coming out, lo fanno a fine carriera piuttosto che all’inizio, molti altri che rinunciano del tutto a praticare uno sport a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere. Questi dati salgono se si parla di calcio e, ancora di più, in caso di persone trans.

Tutti noi ricordiamo quando, in occasione dei mondiali del 2014, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay invitò i calciatori omosessuali a dichiarare il proprio orientamento sessuale, nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. Naturalmente i coming out furono quasi inesistenti, non solo da parte dei calciatori, ma da praticamente tutti gli atleti di qualsiasi disciplina sportiva. Una delle eccezioni fu Jason Collins, giocatore di basket che fece coming out proprio nell’aprile dello stesso anno.

Gli stereotipi di genere ancora dilaganti e un’esposizione costante ai mass media rendono il coming out ancora pericoloso per molte persone che non si riconoscono nell’eteronormatività promossa dai contesti sportivi, dove regna sovrano il prototipo del maschio bianco, cisgender con una virilità fisica evidente.

Ma è soprattutto l’omosessualità femminile quella che, nel contesto sportivo, risulta più deformata, complice una visione sociale della donna come un soggetto emotivamente  e fisicamente più fragile rispetto all’uomo. Se da un lato alle atlete si chiede di non assumere comportamenti troppo femminili perché rischierebbero di essere sminuite, dall’altro si chiede loro anche di non assumere atteggiamenti troppo mascolini perché potrebbe essere messo in discussione il loro orientamento sessuale. La situazione di Morgan, una delle sue protagoniste di Some girls do, è lo specchio di questa realtà. 

Morgan è una campionessa velocista. In quanto donna ha dovuto lottare per essere vista al pari dei suoi compagni maschi e, in quanto donna che pratica sport, viene già per questo considerata poco femminile, mascolina. A questo, si aggiunge una visione elitaria del contesto sportivo che, soprattutto nelle scuole americane, è considerato un indice importante di popolarità. Con il suo coming out, Morgan ha sconvolto la realtà eteronormativa di una scuola cattolica, contesto già di per sé poco inclusivo, e ha visto mettere in discussione il suo sogno di entrare a far parte della squadra di atletica del college.

Il problema sta nella scelta tra: tacere per paura di vedere stroncata la propria carriera e soffrire per l’impossibilità di esprimere la propria identità, oppure parlare per far sì che anche gli altri trovino il coraggio di farlo, pur rischiando la carriera. Morgan sceglie di parlare apertamente del suo orientamento sessuale, nonostante la battaglia legale che l’aspetta, nonostante il suo futuro sia stato messo in discussione. Sceglie di parlare perché tutti trovino il coraggio di esprimere la loro identità come meglio credono. È proprio nel tentativo di aiutare chi si trova in una situazione simile, tuttavia, che dimentica che per ognuno il percorso che porta all’accettazione di se stessi è diverso. 

Il coming out è un regalo che la persona fa a qualcun altro sulla base di fiducia, nell’altro e in se stessi. Come l’identità di genere, non deve basarsi su preconcetti e diventare obbligatorio. Non esistono percorsi univoci, non esistono pretese.

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