OPINIONISTA
Mercoledì e le citazioni alla letteratura gotica

Mercoledì e le citazioni alla letteratura gotica

Fenomeno televisivo del momento, Mercoledì, la nuova serie con Jenna Ortega firmata niente di meno che da Tim Burton e dal duo formato da Alfred Gough e Miles Millar, era attesissima sia dagli affezionati all’iconica Famiglia Addams sia dagli appassionati seguaci del cinema burtoniano. La serie si pone a cavallo di numerosi generi, spostandosi abilmente tra l’horror, la commedia, il mistery e anche il teen drama, dal momento che la protagonista è la sedicenne Mercoledì Addams, alle prese con la difficoltà di trovare un suo posto nel mondo e adattarsi a questa spaventosa nuova fase della sua vita chiamata adolescenza.

Dopo aver quasi ucciso un ragazzo gettando dei piranha nella piscina della scuola, Morticia e Gomez la spediscono alla Nevermore Academy, la scuola per reietti che anche loro, a suo tempo, hanno frequentato, e dove sperano possa sentirsi più vicina ai suoi coetanei. Mercoledì, con la sua iconica mise in bianco e nero e la passione per gli omicidi e tutto ciò che è macabro, vive adesso tutte le problematiche tipiche di un’adolescente, dai triangoli amorosi al rapporto conflittuale con la madre Morticia, a cui si aggiunge il tentativo di trovare il mostro responsabile degli omicidi che imperversano nella cittadina di Jericho.

Jenna Ortega è riuscita a dare una nuova veste a un personaggio già di per sé iconico. Mercoledì adolescente è ancora più sardonica ed efferata della Mercoledì bambina interpretata da Christina Ricci in La famiglia Addams (1991) e La famiglia Addams 2 (1993), che si distingueva per la sua apparente apatia e per l’istinto omicida. La Mercoledì di Jenna Ortega rivela invece un carisma magnetico, con quelle ciglia lunghe che incorniciano uno sguardo penetrante che impedisce a tutti, dal pubblico ai personaggi stessi della serie, di staccarle gli occhi di dosso. Un esperimento, quello di Burton, Gough e Millar, che risulta pienamente riuscito. Mercoledì riesce nel tentativo di avvicinare il pubblico di Millenials a quello dei giovanissimi di oggi, riscoprendo un personaggio che è entrato nella storia della cultura pop gotica del cinema.

Mercoledì e i riferimenti alla letteratura classica gotica

Il sostrato culturale alla base del cinema burtoniano attinge, spesso e volentieri, agli elementi tipici della letteratura classica gotica, che Burton ha nel tempo fatto suoi. Per esempio, la contrapposizione tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, personaggi classificati dalla società come outsiders, fuori dall’ordinario, la passione per tutto ciò che è macabro, mostri e creature bizzarre. Mercoledì, in tal senso, ha dimostrato di essere veramente ricca di riferimenti, ed è proprio su questi che l’articolo si soffermerà.

Per cominciare, le principali “fazioni” in cui il corpo studentesco della Nevermore si divide sono rappresentate proprio da creature tipiche della letteratura gotica: lupi mannari, vampiri, sirene, sensitivi, ecc. La letteratura sui lupi mannari, così come quella sui vampiri, è sterminata e ha origini fin dall’antichità. Tuttavia, il vero e proprio avvento della narrativa sui licantropi si ebbe solo nel 1824, quando lo scrittore irlandese Charles Robert Maturin pubblicò “The Albigenses”, romanzo in cui è narrata la vicenda, seppur piuttosto marginale, di una creatura ringhiante che rosicchia un cranio in un cimitero.

La prima opera dedicata interamente alla figura del lupo mannaro fu “Wagner the Wehr-wolf” di Georg William Reynolds (1846-1847), romanzo uscito a puntate in settantasette fascicoli, il cui protagonista è Fernand Wagner, anziano che stringe un patto con il diavolo: in cambio della giovinezza e della vita eterna, ogni notte di luna piena diventa un licantropo.

Prolifici nell’Ottocento sono, più che i romanzi, i saggi e i racconti sui licantropi. Per esempio, il saggio di Sabine Baring-Gould del 1865 intitolato “The book of Were-wolves” ottenne un successo tale da influenzare poi Stoker nella scrittura del suo più celebre romanzo, “Dracula” (1897), in cui il conte-vampiro presenta l’abilità di mutare proprio nella forma del suo antagonista per antonomasia, il licantropo. La letteratura gotica novecentesca non introdusse grandi variazioni sul tema se non dopo la Prima Guerra Mondiale, quando furono pubblicati racconti piuttosto interessanti. Uno dei più celebri è il racconto di Barry Pain intitolato “The Undying Thing” pubblicato nel 1901, incentrato sulla storia di una famiglia di proprietari terrieri che tramandano da generazione a generazione un segreto terribile che porta alla rivelazione di una creatura mostruosa che vive nella piantagione. Nel 1912 venne pubblicato invece “Come diventare un lupo mannaro”, manuale sulla licantropia di Elliot O’Donnell (che farebbe molto comodo a Enid, la compagna di stanza di Mercoledì, visti i suoi problemini legati alla trasformazione in lupo!) che egli aveva spacciato come romanzo basato su una esperienza realmente vissuta, diventato poi piuttosto famoso.

Da personaggio di Polidori a studente della Nevermore

Affascinanti, magnetici, dotati di forza e bellezza sovrumane, i vampiri sono da sempre tra le creature gotiche che hanno riscosso maggior successo, sia in ambito letterario che cinematografico. L’ingresso della figura del vampiro nella letteratura gotica si ebbe ufficialmente nel 1819, quando venne pubblicato “Il vampiro”, racconto di John Polidori, il cui protagonista è Aubrey, un giovane inglese di buona famiglia, il quale incontra Lord Ruthven. Ruthven, ferito gravemente durante uno scontro con alcuni banditi, fa promettere ad Aubrey di non menzionare la sua morte per un periodo di un anno e un giorno. Tornato a Londra, Aubrey incontra Ruthven vivo e vegeto, sotto il nome di Conte di Marsden, e promesso sposo a sua sorella. Il giovane, non potendo rompere il giuramento, tenta di scrivere una lettera alla sorella per salvarla. La lettera non arriverà mai in tempo e la sorella di Aubrey viene trovata morta prosciugata dal sangue durante la prima notte di nozze. Ruthven, invece, sparisce nel nulla.

Nel 1872 venne invece pubblicato “Carmilla”, racconto di Sheridan Le Fanu in cui la protagonista, Carmilla, una donna bellissima e affascinante, si rivelerà essere una vampira di più di 200 anni. Naturalmente, il vampiro che più di tutti è entrato nell’immaginario collettivo è il Dracula protagonista dell’omonimo romanzo di Bram Stoker (1897), ispirato alla figura di Vlad III principe di Valacchia. Il romanzo inizia con l’arrivo in Transilvania del giovane avvocato Jonathan Harker, inviato dal suo capo per curare l’acquisto di un’abitazione a Londra da parte di un un nobile transilvano, il Conte Dracula. Inizialmente, il conte sembra una persona piuttosto affabile ma, con il passare dei giorni, alcuni particolari diventano terrificanti. Alla fine, Harker scopre che egli in realtà è un vampiro.

L'eredità di Mary Shelley e di Stevenson in Mercoledì:
ALLARME SPOILER!

Pregnante in “Mercoledì” è il lascito di autori come Mary Shelley e Robert Louis Stevenson che, rispettivamente con “Frankenstein” e “Lo strano caso del Dr. Jackyll e Mr.Hyde” hanno fatto la storia della letteratura gotica. I riferimenti a “Frankenstein” sono numerosi. Nell’episodio finale vediamo la professoressa Thornill riportare in vita il padre fondatore di Jericho, il cui aspetto da morto vivente ricorda molto quello del mostro del romanzo di Mary Shelley. O ancora, in una scena, la professoressa Thornill dona a Mercoledì proprio una copia di “Frankenstein”, incoraggiandola a limitare i suoi interessi ai mostri letterari e ad abbandonare le ricerche del mostro che si aggira attorno alla Nevermore.

Il mostro in questione è un Hyde che, nato dalla mutazione, giace dormiente finché non viene risvegliato da un evento traumatico o tramite ipnosi. L’Hyde sviluppa nei confronti della persona che lo risveglia un sentimento di cieca obbedienza, diventando uno strumento atto a qualsiasi fine egli voglia perseguire. Il mostro in questione, umano durante il giorno, creatura abominevole la notte, è chiaramente ispirato al romanzo di Stevenson, seppure il tema del doppio sia presente in entrambi i romanzi.

Il tema del doppio è uno dei temi cardine della letteratura gotica inglese che, nata a cavallo tra il ‘700 e l’800 in un’Inghilterra alle prese con rivoluzioni sociali e scientifiche, mette per iscritto le paure e le ansie dell’uomo contemporaneo. 

Mary Shelley era figlia del filosofo William Godwin e di Mary Wollstonecraft, una delle prime pensatrici femministe inglesi, e moglie del poeta romantico Percy Bysshe Shelley. La Shelley inizialmente pubblicò “Frankenstein” in forma anonima nel 1818, con una prefazione scritta dal marito. Il suo nome comparve per la prima volta nel 1823, quando il romanzo fu pubblicato in Francia. Il libro, che poi diventerà tra le letture preferite da Mercoledì, ha origine da una competizione fra Mary, Percy, John Polidori e Lord Byron, che si sfidarono a scrivere il miglior racconto dell’orrore durante una vacanza, in una serata temporalesca. Da questa sfida nacquero “Il vampiro” di Polidori e “Frankenstein” di Mary Shelley. 

“Frankenstein” è un romanzo epistolare: la storia è narrata attraverso le lettere che il capitano Robert Walton scrisse alla sorella dal Polo Nord, raccontando di aver incontrato durante la missione un certo Victor Frankenstein. Il dr. Frankenstein, riferisce, aveva inseguito per anni l’utopia di restituire la vita alla materia inanimata e aveva condotto per molto tempo ricerche ed esperimenti clandestini volti a creare un nuovo essere vivente con parti che lui stesso prelevava dai cadaveri. L’esperimento, in effetti, aveva avuto successo, ma Victor, terrorizzato dalla creatura, era fuggito, abbandonato la creatura al suo destino. Rifiutato dal suo stesso creatore e dal resto della società a causa del suo aspetto, nonostante i tentativi di comportarsi come un essere umano, il mostro lascia dietro di sé una scia di morti e, alla fine del romanzo, dopo la morte del dr. Frankenstein, si ritirerà a una vita in solitudine.

Il tema del doppio lega tra loro i destini di Frankenstein e della sua creatura. Da una parte l’aspirazione di Victor di creare un essere perfetto, e dall’altra il desiderio del mostro di essere riconosciuto come un essere umano nonostante il proprio aspetto deforme. Durante la narrazione, creatore e mostro si scambiano i ruoli: nella prima parte Victor, terrorizzato da ciò che sta facendo, distrugge l’altra creatura che stava creando affinché potesse fare da compagna al mostro, mentre questo lo osserva dalla finestra; nella seconda, il mostro uccide Elizabeth, moglie di Victor, mentre il protagonista osserva impotente attraverso i vetri.

Nel 1886 viene pubblicato invece “Lo strano caso del Dr. Jackyll e Mr. Hyde”, romanzo breve dello scrittore scozzese Robert Louis Stevenson e incentrato anch’esso sul tema dello sdoppiamento della personalità. La vicenda è ambientata a Londra, in un periodo non precisato del diciannovesimo secolo, e ci viene raccontata dalle parole dell’avvocato Utterson, amico del dottor Jackyll, cui si aggiunge poi un memoriale dello stesso dottore. È proprio grazie al memoriale che scopriamo che il dottor Jekyll, dopo aver sperimentato su se stesso una potente droga di sua invenzione, sviluppa la capacità di trasformarsi in Edward Hyde, suo alter ego malvagio.

Se in un primo momento, Jackyll riesce a reprimere questo suo lato malvagio, dopo poco egli soccombe alla volontà di Hyde e si macchia di una serie di orrendi delitti. Lo stesso accade all’Hyde di Mercoledì, che in un primo momento tenta di sopprimere il mostro legandosi con delle catene di metallo alla parete rocciosa di una caverna.

 

Ci sono molteplici analogie tra “Frankenstein” e “Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde”. Prima fra tutti, entrambi i protagonisti, Victor Frankenstein e il dr. Jackyll, sono medici. Entrambi, durante un esperimento, donano la vita ad un mostro: Frankenstein lo fa assemblando pezzi di cadavere, Jackyll trasformandosi lui stesso. A differenza di Jekyll, però, Frankenstein abbandona il mostro al suo destino e fugge, pentendosi ardentemente di avergli donato la vita e cercando di porre rimedio ai suoi crimini. Jakyll, invece, in un primo momento tenta di godersi l’esperienza che la creatura uscita da sé può procurargli. Infine, come per Jekyll, anche per Victor l’artefice della sua distruzione sarà la sua creatura.

Edgar Allan Poe diventa un reietto della Nevermore Academy

Come abbiamo detto, Mercoledì è ricca di riferimenti alla letteratura gotica inglese, ma Burton si è assicurato che fossero presenti anche tanti easter eggs che rimandassero alla letteratura horror americana. Nella serie, Edgar Allan Poe, famoso scrittore statunitense del Novecento, specializzato in racconti del terrore, fu alunno della Nevermore Academy, il cui nome è già di per sé è un riferimento a Poe: nel suo capolavoro intitolato “Il corvo”, un uomo è reso folle da un corvo parlante che pronuncia solo la parola “nevermore”. Inoltre, Mercoledì vede dei corvi in una visione, come sensitiva viene definita “corvo” per via della sua propensione a vedere il lato oscuro della vita, la preside Weems ha un corvo imbalsamato sulla scrivania e la Coppa Poe è dedicata proprio al celebre scrittore. Ancora, ogni barca della squadra in gara rimanda ai racconti di Poe: la barca di Enid e Mercoledì si chiama “Il gatto nero”, quella di Bianca “L’insetto d’oro”, quella di Xavier si chiama letteralmente “L’Amontillado”, che si riferisce al racconto “Il barile di Amontillado”, e la quarta barca si chiama “Il pozzo e il pendolo”.

In conclusione, il sostrato culturale che fa da base a Mercoledì è degno di un qualsiasi appassionato di libri dell’orrore e ha dimostrato non solo di aver saputo avvicinare due generazioni diverse di cinefili, ma di aver fatto anche un più che efficace occhiolino a tanti lettori che, spinti dalla curiosità, hanno voluto vedere la serie Netflix.

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