My Policeman: caso letterario o un’occasione mancata?
Bethan Roberts è una scrittrice ormai molto nota nel panorama letterario britannico, ma negli ultimi tempi ha letteralmente spopolato grazie a My Policeman. Storia di un amore impossibile, il suo terzo romanzo, pubblicato nel 2007 ma recentemente portato sui grandi schermi dall’omonimo film, con Michael Grandage come regista e Harry Styles ed Emma Corrin come protagonisti.
Complici la presenza della popstar nel film, ma anche il successo ottenuto sulle principali piattaforme digitali come Instagram e TikTok, il romanzo è diventato un vero e proprio caso letterario.
Il libro si ispira alla storia dello scrittore britannico Edward Morgan Forster, autore del famoso romanzo Camera con vista (1986), e alla sua relazione con un poliziotto sposato. Nel romanzo di Roberts la giovane maestra Marion è sposata con Tom, il fratello della sua migliore amica, recentemente diventato poliziotto, ma il loro matrimonio viene fin da subito messo in discussione dal rapporto che Tom instaura con Patrick, curatore di un museo a Brighton.
La storia è impostata come un viaggio avanti e indietro nel tempo, tra gli anni ’50, in un’Inghilterra dove l’omosessualità è ancora legalmente perseguibile, e gli anni ’90, a Peacehaven, dove Marion ha deciso di curare in casa propria Patrick, recentemente colpito da un ictus, contro il volere di Tom. La narrazione presenta due punti di vista: quello di Marion e quello delle pagine del diario personale di Patrick.
Attraverso le parole di Marion ripercorriamo i passi che l’hanno condotta a innamorarsi di Tom fin da ragazzina. Tom è il fratello maggiore della sua migliore amica e Marion lo ha sempre osservato con interesse da lontano finché, dopo un lungo periodo di lontananza che Tom trascorre partecipando all’addestramento per diventare poliziotto, i due si incontrano nuovamente fuori dalla scuola dove Marion fa la maestra. Segue quello che sarà un corteggiamento lungo ma ambiguo, in cui Tom sembra non volersi mai sbilanciare sulla natura del loro rapporto, che si sviluppa parallelamente alla loro amicizia con Patrick. Patrick diventa una presenza costante nelle loro vite, tanto che raggiungerà Tom e Marion durante gli ultimi tre giorni della loro luna di miele. Il loro matrimonio si rivela fin da subito sterile di momenti trascorsi insieme in intimità, che si interrompono definitivamente nel momento in cui Marion inizia a sospettare sulla natura del rapporto tra Tom e Patrick.
La Marion degli anni ’90 racconta allora di come la rabbia sopraggiunta in seguito alla scoperta della relazione tra Patrick e il marito l’abbia distrutta al punto tale da denunciarlo alle autorità attraverso una lettera anonima, dunque l’arresto di Patrick, il lungo declino del suo matrimonio e, infine, il ritorno di Patrick nelle loro vite.
“Era come se la vita potesse continuare solo a condizione di mantenere il silenzio assoluto. Se l’avessi tastata, se ne avessi sondato i limiti, la ferita non si sarebbe mai rimarginata.”
My Policeman: un’occasione mancata
“Che cos’altro può rendere reale la sua persona, se non le mie parole messe nero su bianco? Se nessuno può venire a saperlo, in quale altro modo posso convincermi che la sua presenza è autentica, che le mie emozioni sono autentiche?”
Le pagine del diario di Patrick raccontano un amore vissuto fra le quattro pareti del suo appartamento, sofferto soprattutto perché Tom ha sempre mostrato di accettare con difficoltà la natura dei suoi sentimenti.
Un punto di vista, quello di Tom, che l’autrice omette completamente: non sappiamo la vera natura dei sentimenti di Tom nei confronti di Marion, quali fossero veramente le sue intenzioni quando ha deciso di sposarla, come ha vissuto la sua doppia vita frequentando un ambiente bigotto come quello della polizia, cosa ha provato nel scoprire che era stata proprio Marion la causa dell’arresto di Patrick. Non sappiamo nemmeno il motivo per cui Tom rifiuta la presenza di Patrick a Peacehaven, quindi la storia risulta, di fatto, monca.
C’è inoltre un lasso di tempo, quello che va dall’arresto di Patrick all’arrivo di quest’ultimo a Paecehaven, in cui l’autrice non approfondisce ciò che rimane del matrimonio di Tom e Marion, a parte informarci attraverso poche righe del fatto che i due entrano in una routine fatta di sterili convenevoli quotidiani, dialoghi assenti e camere separate. La scrittura di Roberts è molto scorrevole e mi è piaciuta la delicatezza delle parole che ha attribuito alla voce di Patrick nel descrivere “il suo poliziotto”. Uno dei problemi principali del romanzo sono comunque i suoi stessi protagonisti. Tre persone che si manipolano a vicenda, spinti dai loro interessi puramente egoistici e che non risultano essere in possesso di qualità positive.
Da una parte abbiamo Marion, che da moglie tradita sceglie senza pensarci due volte la via della vendetta spietata, spedendo la lettera anonima che determinerà l’arresto di Patrick e la fine della sua carriera. L’impressione generale è che gran parte della storia sia raccontata da una Marion delusa che, non solo non è riuscita ad accettare l’omosessualità del marito, ma veste i panni della ragazzetta di provincia omofoba che, guidata dalla rabbia, condanna la persona verso cui è rivolta tale rabbia ad una vita miserabile. Sì, perché Marion non sembra arrabbiarsi con il marito per il tradimento in sé, ma è convinta di poterlo “guarire”. Marion è, sostanzialmente, un personaggio stereotipato fin dal principio.
E poi abbiamo Tom, che lega a sé fino al punto di non ritorno una donna innamorata che sa benissimo non ricambierà mai, unicamente perché attraverso l’immagine del giovane uomo sposato non avrebbe destato sospetti nella polizia, sarebbe salito di grado e avrebbe potuto continuare la sua relazione clandestina. Alla fine, sarà Marion, quando capisce che a Patrick non resta più tanto da vivere, a fare le valigie e a tagliare il cordone ombelicale che li aveva legati fino a quel momento.
Infine Patrick, dalle cui parole traspare il sostanziale disprezzo che provava per Marion, che non considera all’altezza di Tom, ma una semplice maestrina bacchettona da guardare dall’alto in basso. Una storia che di commovente, purtroppo, non ha nemmeno il finale, che lascia il lettore totalmente insoddisfatto. My Policeman è stato, sostanzialmente, una bella occasione mancata per approfondire un periodo storico molto particolare, quello dell’Inghilterra degli anni Cinquanta, che ancora considerava “invertito sessuale” chiunque non rientrasse nella visione eteronormativa della sessualità.
L’omosessualità nell’Inghilterra degli anni Cinquanta.
Il Regno Unito è stato uno dei primi Paesi a legiferare in materia di omosessualità. Nel 1553 fu varata una legge che stabiliva come pena per gli atti di sodomia, quindi compresi i rapporti di natura omosessuale, la condanna a morte. Tale legge non subì alcuna modifica fino al 1861, quando fu emanato un atto per le “Offences against the Person Act”, che sostituiva la condanna a morte con un periodo di reclusione fino a un massimo di 10 anni. Risale al 1885 il “Criminal Law Amendament Act”, che criminalizzava ogni altro tipo di pratica sessuale tra uomini, insieme a tutti quei comportamenti che potessero manifestare esplicitamente questa tendenza sessuale.
Negli anni Cinquanta del Novecento la situazione era migliorata solo di poco. Era ancora fortemente diffuso l’utilizzo dell’appellativo di “invertito sessuale”, processi e condanne non risparmiavano nemmeno i personaggi più noti. Le persone accusate subivano ogni tipo di persecuzione pubblica e, nei casi che vedevano protagonisti personaggi noti, questi vedevano le loro carriere stroncate. Nel 1952, il matematico Alan Turing, morto suicida poco tempo dopo, fu accusato di praticare rapporti omosessuali e per questo costretto a scegliere tra il carcere e la castrazione chimica. Il Regno Unito non era estrano a scandali di questo tipo: uno dei più noti della storia inglese è quello che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, coinvolse lo scrittore Oscar Wilde, accusato di sodomia e pratica di atti osceni. Esisteva invece una totale assenza di norme che regolamentavano i casi di rapporti omosessuali tra donne.
Nel 1954, il governo presieduto da Winston Churchill costituì una commissione per valutare eventuali cambiamenti legislativi in materia di prostituzione e rapporti di natura omosessuale. Nella visione ai quei tempi corrente, indissolubilmente legata all’omosessualità era la pedofilia. Tutto ciò rendeva prerogativa dello Stato il tentativo di scongiurare la “corruzione” dilagante tra i giovani, soprattutto di quelli sotto la leva militare. Le azioni persecutorie della polizia nei confronti degli omosessuali erano tra le più efferate, complice anche il fatto che maggiore era il numero degli arresti a carico di un singolo poliziotto, maggiori erano le possibilità di fare carriera e salire di grado.
Nel 1957 la commissione giudicò opportuno suggerire al governo la depenalizzazione del reato di omosessualità. Si dovrà attendere il 1967 per l’introduzione del “Sexual Offences Act”, che riconosceva la depenalizzazione del reato di omosessualità ma, al contempo, stabiliva che i rapporti omosessuali dovevano essere limitati alla sfera privata e non pubblica e che l’età del consenso per avere rapporti di tale natura doveva essere di almeno 21 anni. Infine, solo la cosiddetta “legge Alan Turing” approvata nel 2017 ha scagionato tutti gli uomini accusati di sodomia dagli inizi del XX secolo fino a oggi. Un cammino, quello del riconoscimento dei diritti della comunità lgbtqia+, che ancora oggi si dimostra lungo e tortuoso, nonostante la maggiore sensibilizzazione sul tema promossa in questi ultimi decenni.
Questo è tutto ciò che Bethan Roberts avrebbe potuto approfondire nel suo romanzo, il cui contesto storico risulta pressoché accennato, trattato con una superficialità evidente, la quale toglie molto all’idea di base che, sviluppata diversamente, sarebbe stata vincente.