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Milly Vodović, la recensione di un grido

Milly Vodović, la recensione di un grido

Esistono tanti tipi di discriminazione e tanti punti di vista da cui questa stortura umana può essere raccontata. Le discriminazioni possono essere etniche, religiose, di genere, ma tutte hanno a che fare con un’unica parola, che lega, come uno spago spesso e ruvido, esperienze diversissime tra loro, che tuttavia riescono ad assomigliarsi: la parola odio. Milly Vodović, la protagonista dell’omonimo romanzo di Nastasia Rugani, ha solo 12 anni ma l’odio lo conosce perfettamente. Sono sbalordita da questo piccolo libro, che in meno di duecento pagine è riuscito a raccontarmi l’esperienza di una vita cortissima, eppure talmente irruenta e sinfonica da assomigliare a un grido lancinante messo in musica da una direttrice d’orchestra degna dei più grandi teatri del mondo. 

Il delizioso uragano di Milly Vodović

La nuova frontiera ad aprile 2023 porta nelle librerie italiane Milly Vodović, un romanzo che si presenta come una lettura ascrivibile al genere della letteratura per ragazzi, poiché l’intera opera è incentrata su una giovanissima protagonista, di appena 12 anni. Eppure la storia dei Vodović non ha un pubblico di riferimento, o meglio, ne ha uno solo che comprende chiunque. Ci troviamo in una cittadina della Georgia, Birdtown, spoglia, cattiva e caldissima: Milly, suo fratello Almaz, suo cugino Tarek, Dada e Petra sono una famiglia di origine bosniaca e di religione musulmana che si è trasferita in America dopo la guerra serbo-bosniaca che ha distrutto la loro città natale, Sarajevo. Creando quasi un ponte di collegamento tra il retaggio notoriamente razzista dell’America del sud, una guerra terrificante come quella di cui si parla nel libro e l’attentato alle Torri Gemelle, Nastasia Rugani costruisce una favola sull’inquietante portata tragica della discriminazione etnica. Non voglio dilungarmi troppo sulla trama e, anzi, consiglio voi lettrici e lettori di non leggere quella riportata in quarta di copertina, poiché questa lettura è preferibile affrontarla come si affronterebbe un salto nel vuoto. In caduta libera. 

Tranne alcuni passaggi, l’intero libro è strutturato assecondando il punto di vista di Milly, la più piccola dei Vodović. Una ragazzina che sta entrando un passo alla volta nella sua adolescenza e che intorno a sé ha creato un mondo che mescola il duro lavoro del nonno, le estati corrosive, le avventure da guerriera di mondi inesplorati e la musica di Michael Jackson. Milly non ha paura di niente, sente le sue emozioni ribollire sotto la pelle scura e non teme di farle emergere, scoppiare, esplodere come una bomba ad orologeria. Mentre la sua famiglia tende a nascondersi, a tenere un profilo basso per “evitare guai” all’interno di una comunità di bianchi che non accettano la loro diversità, Milly non vede l’ora di gridare al mondo intero la sua esistenza. 

L’autrice è bravissima a mostrarci questo durissimo spaccato di società, immobile in un tempo sabbioso, come vista attraverso un vetro opaco, che viene sconvolto per opposizione dalla vividezza di Milly, che invece si muove in continuazione, salta e corre come un grillo, alza la voce, picchia chi se la prende con suo fratello, difende se stessa e la sua incredibile fantasia, che mai e poi mai verrà messa in discussione da un mondo esterno che non la comprende. Attraverso tantissimi specchi metaforici, che in alcuni punti avvicinano il romanzo al genere del realismo magico, Rugani ci presenta in una coppa gelato multicolore tutta la dolorosa bellezza dell’età adolescenziale infranta dal razzismo e dal lutto. Milly è un personaggio talmente reale, tridimensionale, sincero, da farci ricordare i nostri 12 anni, da farci venir voglia di rotolarci nell’erba, di sporcarci il viso di panna montata, di arrabbiarci con il mondo per un gioco di cui ancora non comprendiamo le regole: la vita stessa. 

Contrariamente al fratello e al nonno, Milly non si alza all’alba per pregare. L’alba serve a sedersi al margine dei prati e osservare i topi campagnoli che fanno colazione. Ad ogni modo esiste un solo dio, e si chiama Michael Jackson. Ma agli occhi degli abitanti di Birdtown la verità è interessante quanto un pacchetto di sigarette vuoto. Essere la figlia di un immigrato bosniaco e la sorella di un musulmano basta per rappresentare un pericolo per la comunità; terrorista in erba.”

Caratterizzato da un ritmo incalzante, da una scrittura lirica e coloratissima, da un sottobosco di significati storici, politici e culturali, Milly Vodović è un libro che consiglio a chiunque abbia voglia di leggere una storia commovente, brillante ed infinitamente avventurosa. Abbandonando per un momento il canonico stile di una recensione, voglio adesso addentrarmi, con chi avrà il piacere di leggere, nella vicenda di sfondo che pervade il romanzo protagonista di oggi: la guerra serbo-bosniaca. La famiglia di Milly proviene da Sarajevo, una città che negli anni ’90 è stata protagonista di un martirio, di una guerra tremendamente violenta e sporca di cui si parla forse troppo poco. Nelle prossime righe cercherò di riassumere il conflitto, sperando di renderne chiare le cause e le conseguenze. Ma soprattutto sperando che il vostro occhio, in un futuro, si concentri sulla Bosnia, una Nazione a lungo rimasta depressa, sepolta in un ricorso tragico, ma che oggi è un grandissimo esempio di convivenza tra etnie e religioni diverse. 

La guerra serbo-bosniaca: lo sfondo di Milly Vodović

La guerra serbo-bosniaca affonda le sue radici proprio nel concetto di multietnicità. Parliamo di un conflitto scoppiato e terminato agli inizi degli anni ’90 (il 6 aprile del 1992 inizia e il 14 dicembre 1995 termina) che ha coinvolto una nazione, la Bosnia Erzegovina, profondamente differenziata dal punto di vista etnico e religioso. Per gli europei che negli anni ’90 avevano tra i 10 e i 12 anni, la guerra serbo-bosniaca è stata il primo approccio al conflitto bellico, che si insinua nella trama di un continente ormai in pace dai tempi della Seconda guerra mondiale. 

Cartina dei territori balcanici

Per comprendere come la situazione di questo territorio è mutuata, è necessario tenere presente la complessa multietnicità della Bosnia, diventata Stato Indipendente nel 1992, uscendo dalla Repubblica di Jugoslavia. La popolazione bosniaca era composta da una componente bosniacca di religione musulmana (44%), da una componente di serbi di Bosnia di lingua e cultura serba e di religione ortodossa (32%) e da una componente di croati di Bosnia di lingua e cultura croata e di religione cattolica (17%). Queste tre popolazioni si incastravano le une con le altre tramite villaggi di diversa composizione etnica, tutti insinuati in territorio bosniaco. Per rendere la situazione politica equilibrata, le varie posizioni di potere venivano rappresentate da due esponenti di ciascuna etnia, fino alle prime elezioni libere del 1990, in cui prevalse la componente bosniacca. Il presidente Alija Izetbegović era infatti bosniacco, il presidente della Camera era serbo e il primo ministro croato. 

A cominciare dal presidente bosniacco, la Bosnia cercherà di ricucire i rapporti all’interno dello Stato Jugoslavo tra la Serbia e le due repubbliche separatiste, ovvero la Slovenia e la Croazia. In questo frangente storico movimenti nazionalisti che desiderano l’indipendenza dalla Jugoslavia iniziano a diffondersi in territorio balcanico; lo stesso Izetbegović propose che Bosnia, Serbia, Montenegro e Macedonia formassero una federazione di Stati, mentre Croazia e Slovenia sarebbero rimaste indipendenti ma alleate della federazione. Questo tentativo, avvenuto nel giugno del 1991, con ormai la guerra alle porte, non condurrà a nessuna risoluzione. 

Alija Izetbegović

Dopo una serie di rivolte all’interno del territorio sloveno e croato, la situazione in Bosnia iniziò a farsi sempre più calda, poiché ognuna delle tre componenti etniche aveva degli obbiettivi diversi: una parte della popolazione croata stava pensando di staccarsi dalla Bosnia per riunirsi alla Croazia, così come una parte della popolazione serba stava pensando di riunirsi alla Serbia. Allo stesso tempo la componente bosniacca desiderava costruire all’interno della Bosnia una nazione più indipendente rispetto agli altri territori, pur mantenendo la propria dimensione integrale e la propria multietnicità. Agli inizi del 1991 questa divisione cominciò a diventare sempre più visibile e iniziarono a nascere delle vere e proprie Repubbliche autonome all’interno della Bosnia, una composta dalla popolazione croata, una da quella serba e infine il territorio centrale bosniaco. Queste tre Repubbliche si vedranno capeggiate da tre leader diversi, ognuno con un proprio progetto. 

Nei primi mesi del 1992 la situazione peggiorerà sempre di più a causa dell’esercito jugoslavo, che fin dall’inizio della guerra in Croazia aveva spostato delle unità in Bosnia per tenere sotto controllo la popolazione croata di Bosnia; anche in Bosnia iniziarono a formarsi dei gruppi paramilitari che approfittarono della guerra per procurarsi delle armi, la maggior parte delle quali provenivano dalle Nazioni Unite. Il terzo fattore che diede definitivamente fuoco alle polveriere dipende dal fatto che le popolazioni iniziarono a virare verso l’estremismo armato, che sfociò in rivolte violente.

La situazione esplose il 15 ottobre del 1991, quando il governo bosniaco chiese l’indipendenza tramite un referendum. Da questo momento le fazioni si spaccano: i serbi iniziano a parlare apertamente di autonomia, mentre croati e bosniacchi si precipitano alle urne. Con più del 90% dei voti, il referendum per la richiesta dell’autonomia passò. Il primo marzo, oltre ad essere il giorno ultimo del referendum, viene ricordato anche come il giorno della morte del primo ucciso di guerra, avvenuta durante la cosiddetta “sparatoria del matrimonio”: a Sarajevo si stava tenendo un matrimonio serbo, che venne attaccato da un gruppo di malviventi bosniaci, i quali uccisero il padre della sposa. Questo evento non fece altro che convincere le forze armate jugoslave a intervenire. L’ultimo tentativo di salvare la situazione da un conflitto che diventava sempre più inevitabile fu con gli accordi di Lisbona, che prevedevano una divisione su base etnica del territorio bosniaco, così che ognuna delle parti avrebbe potuto decidere autonomamente del proprio destino. 

Inizia un periodo di continui assedi da parte dei serbi nei confronti dei bosniaci. Queste continue rappresentazioni di violenza sono ben identificabili tramite due assedi in particolare: l’assedio alla capitale Sarajevo e l’assedio della città di Srebrenica. I serbi tenevano in pugno l’attività bellica tramite un sistema di controllo delle colline intorno alla città di Sarajevo, dalle quali partivano continuamente gli spari dei cecchini. Proprio questa manifestazione di violenza da parte dei serbi nei confronti della popolazione civile bosniaca smosse gli animi europei, che da una situazione di non interventismo decisero di intervenire direttamente nel conflitto al fianco della Bosnia. La conseguenza di questa indecisione da parte dell’Europa furono una serie di massacri: Sarajevo divenne una città martorizzata, con le forze dell’ONU che non riuscivano mai a intervenire in maniera significativa. Ciò che smosse le torbide acqua della guerra fu il massacro del mercato di Sarajevo, che nel 1994 verrà colpito da un bombardamento che avrà come esito la morte di settanta persone. 

L’Europa iniziò ad intervenire in maniera più concreta tramite l’abbattimento di alcune roccaforti serbe: si ha quindi un’aperta contrapposizione tra forze militari occidentali e corpi armati serbi. Srebrenica, esattamente come Sarajevo, era sotto assedio dal 1992: i villaggi limitrofi erano stati quasi del tutto abbandonati, trasformando la popolazione civile in profughi, spinti all’interno della città. Qui si erano andate ad installare una serie di milizie che rendevano Srebrenica inconquistabile da parte dei serbi, i quali la circondarono e la misero sotto assedio. Apparentemente la città si presentava come paradiso protetto dalle forze militari dell’ONU, per lo più provenienti dall’Olanda, ma ben presto si capirono le falle del sistema. Per evitare l’approvvigionamento della città, i serbi iniziarono a distruggere i villaggi limitrofi, rifugiandosi poi nuovamente sulle colline prima che le armate europea riuscissero a smantellarli. A far crollare definitivamente la situazione nel 1995 sarà un’offensiva serba: le forze bosniache verranno facilmente sconfitte, costringendo la popolazione bosniaca a rifugiarsi prima a Srebrenica e poi, una volta che la città divenne un parco giochi per i cecchini, all’interno della base olandese. I serbi attaccarono anche la base olandese che, impreparata all’assedio, deciderà di “cedere” la popolazione bosniaca in mano ai serbi in cambio della loro ritirata. Dall’11 luglio del 1995 fino al 21 luglio dello stesso anno, i serbi fecero letteralmente ciò che vollero della popolazione di Srebrenica. Separazioni di intere famiglie, uccisioni, violenze sessuali, pestaggi. Più di 8000 bosniaci verranno giustiziati. Un massacro che rimarrà insabbiato fino ai mesi successivi alla guerra, quando si andrà a scavare nelle fosse comuni. 

Milly non prova nessun rimorso, nessuna tristezza. È elettrica. Non la smette di decifrare i silenzi e gli sguardi rivolti verso i dolori passati, ma non ci riesce. È nata qui, lontano dalla guerra dei Balcani, lontano dai morti. “Così tanti, tanti morti” le ha assicurato la bibliotecaria quando le ha chiesto quanti. Quei cadaveri privi di nome, quei probabili momenti di coraggio mai raccontati restano dei misteri. E allontanano Milly dalla sua famiglia. Poiché i Vodović rifiutano di impietosirsi e hanno scelto di non risvegliare più i drammi, allora Milly ha l’impressione che una parte di lei venga costantemente rifiutata.”

Sarajevo nel 2023: lo specchio di un passato proiettato verso la rivalsa

La lettura di Milly Vodović mi ha fatto tornare con la mente alla mia amata Sarajevo, una città che ho avuto il piacere di visitare due volte nel corso della mia vita. Palazzoni di periferia dall’architettura tipicamente sovietica, pieni di fori di proiettile, anticipano una capitale che ha dell’incredibile, in cui una Storia sopravvissuta, vivida e respirante, incontra una proiezione di rivalsa e ricostruzione. Ciò che più sorprende un’italiana in vacanza a Sarajevo è la tangibile fluidità etnica, che la rende una città viva e variegata: moschee sorgono accanto a chiese ortodosse, locali dove si beve solo tè e caffè convivono accanto a cartelli che indicano luoghi dove si può sorseggiare un ottimo bicchiere di vino. Mercati scoperti pieni di tappeti e lampade orientaleggianti si mischiano all’odore dolciastro delle bancarelle che vendono baklava. Ragazze con hijab passeggiano a braccetto con amiche in canottiera e shorts. Sarajevo è un luogo dove qualsiasi differenza umana diviene semplicemente umanità: un’umanità che la giovane Milly comprende perfettamente, mentre fatica a regolare nel proprio cervello il concetto di “diverso”. 

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