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La mia Monticello e altre storie, la recensione

La mia Monticello e altre storie, la recensione

La mia Monticello e altre storie racchiude cinque racconti e una novella il cui filo conduttore è il testimoniare, con piccoli estratti di vita più o meno comune, la realtà vissuta dagli afroamericani in America. L’essere umano è l’unico animale con una coscienza che non vuole ascoltare e che mette a tacere con l’odio e l’ignoranza. Un libro che sottolinea la violenza, il razzismo e l’intolleranza, lasciando spazio alla speranza di una liberazione dall’odio che traballa come la fiamma di una candela minacciata dal vento.

“Agita i tuoi pugni contro quegli uomini avidi in completo decisi a divorare il mondo prima che tu possa anche solo assaggiarlo.”

Negro di controllo: l'apertura di La mia Monticello e altre storie

Negro di controllo è il racconto che apre La mia Monticello e altre storie. È la storia di una vita, dell’amore che l’ha plasmata e resa la miglior versione possibile di sé stessa. Un uomo che aveva bisogno di provare a sé stesso e agli altri che la pelle non è una condanna, né una catena che lega l’anima ai quartieri più difficili in cui la violenza imperversa indisturbata. Per fare ciò, serviva un negro di controllo; qualcuno da osservare e di cui annotare i miglioramenti, i punti di forza. Un ragazzo che è un esperimento e una speranza. La sua stessa esistenza minaccia i dogmi luccicanti e putrescenti del sogno americano, infrangendo la regola non scritta dell’esistenza che condanna o benedice ognuno di noi: il colore della pelle. Questa è la storia di un padre che guarda da lontano, che osserva con stoica ammirazione il ragazzo che diventa uomo, l’uccello che impara a volare e lascia il nido, il luogo sicuro, avviandosi nella crudele realtà.

“Una cosa è certa: quando ti ho visto qui al campus eri canto alto e aggraziato. Ho fatto due conti, la tua età a confronto con la mia, e dovevi avere ventun anni compiuti da poco. Qualsiasi altra cosa fosse successa nel frattempo, eri diventato un uomo. Vederti così sicuro di te ha risvegliato qualcosa dentro di me. Al diavolo quegli aneddoti tragici di altri paesi e città, di ragazzi perduti e imprigionati: loro non erano te, non erano miei. La tua vittoria lasciava intravedere una speranza, e le loro morti cadevano nell’oblio. Mi sono reso conto che non eri mai stato uno nella media: eri più come un verso poetico troppo alto perché potessi decifrarlo. Mi sono convinto che fossi riuscito a scavalcare il filo invisibile di una trappola, e che puntassi dritto a un futuro sconfinato e affidabile.”

La Virginia non è casa tua

La Virginia non è casa tua è una storia di rabbia e di rifiuto. A raccontarla è la stessa Virginia, tratteggiando le tappe della sua fuga e della ricerca della propria libertà in un altro nome e in un altro posto. Virginia è una persona e uno Stato, ma lo Stato non accetta la persona. Che senso ha portare il nome di qualcosa che rifiuta la tua stessa esistenza? Virginia è in cerca di un futuro migliore di quello che era stato promesso dal colore della sua pelle, Virginia si impegna, Virginia si annulla pur di trovare un altro nome in cui ricostruirsi. Virginia è sconfitta, arrabbiata. Virginia sarà sempre e comunque legata alla realtà che l’ha rigettata e che ha rigettato.

“Ti hanno affibbiato quel nome alla nascita, ma la Virginia non è mai stata casa tua. Leggiti La nausea di Sartre e datti un nome nuovo. Annuncialo a gran voce allo specchio macchiato del bagno, come un’incoronazione. Apri la bocca poi sistema la lingua contro i denti. Già che ci sei, datti da fare per aggiustare certi altri difetti di pronuncia da campagnola. […] Convinciti che se riesci a cambiare quello, puoi cambiare tutto”.

Qualcosa di dolce sulla lingua

Qualcosa di dolce sulla lingua è un racconto che racchiude tutta la violenza dell’inconsapevolezza, della cieca obbedienza a ideali che non si comprendono. È la storia di chi decide di diventare carnefice per non essere vittima un domani, quella di bambini, ragazzi, che osservano la violenza dilagare e ne fanno perno per la loro esistenza. I gruppi che diventano branchi, che attaccano accecati da un odio che non capiscono del tutto. Una storia di sete di violenza in cui l’unico modo per dissetarsi è versare del sangue.  

“Senza fiato, abbiamo guardato il ragazzo distrutto ai nostri piedi. La sua faccia rigata di sale. Gli occhi di vetro. Un sapore amaro ci è salito dentro. Poi, uno per uno, siamo corsi a raggiungere gli altri in fila”.

Comprare casa prima dell'apocalisse

Comprare casa prima dell’apocalisse, una lista di cose da fare, attraverso cui si tratteggia una vita intera, fatta di illusioni, ricordi e fughe. Scelte sbagliate che si accumulano e lasciano i lividi, dentro e fuori. Il tempo guarisce ogni cosa ma accresce il rimpianto. In un mondo freddo e pieno di solitudine, cerca una casa con un focolare e spera che il fuoco e il perdono bastino a scaldarti il cuore.

Il re di Xandria

Il re di Xandria è una storia di colpa e di rimorso in cui la perdita pesa come un macigno. Un padre in fuga che rifiuta sé stesso e idolatra il figlio. Un figlio dolorosamente cosciente delle sue vere capacità, che riesce a riportare il padre alla realtà spezzando le illusioni che quest’ultimo si era creato. Accettare la realtà è il primo passo per poter andare avanti.  Il presente è il risultato delle scelte del passato ma anche ciò che la disperazione di essere senza scelte crea, e con cui bisogna scendere a patti per continuare ad andare avanti.

“Ora calmati, Papi. […] Se anche bruci di rabbia non cuoci le patate.”

La mia Monticello

“L’abbiamo reclamata per primi, questa montagnola. Io e MaViolet e un manipolo di vicini, tutti scappati da First Street quando quegli uomini sono venuti a dare fuoco alla nostra fila di case col tetto di lamiera. Sono arrivati al tramonto annunciandosi con un operistico O say can you see. Teste bianche spuntavano da Jeep impolverate e capelli scuri svolazzavano come bandiere lacere in un impetuoso vento nuovo. TUTTO NOSTRO! urlavano. I loro fucili luccicavano come appena comprati: una milizia da megastore.”

Il racconto inizia con una fuga scandita dai colpi di arma da fuoco; per moltissimi, il ritmo degli spari sarà la colonna sonora della loro morte ma per pochi sopravvissuti sarà l’incubo che andrà a riempire le loro menti stanche e spezzate. La mia Monticello racconta la storia di un gruppo di afroamericani sopravvissuti al linciaggio del loro intero quartiere da parte di squadroni di una imprecisata setta che agisce secondo ideali suprematisti e mossi dall’odio, che diventa violenza e si trasforma in morte. Protetti solo dal privilegio che la loro pelle bianca concede. Ciechi alla desolazione che lasciano al loro passaggio e forse perversamente soddisfatti di ciò, conquistano pezzo dopo pezzo l’intera città.

Donne, uomini e bambini rigettati dal mondo che mai veramente li aveva inclusi e accettati. Spaventati, inorriditi e silenziosamente consapevoli del pozzo senza fondo da cui nasce quest’odio, tremano per un futuro i cui contorni diventano sempre più sfumati. Spossati dal peso della loro triste consapevolezza, i sopravvissuti sanno che il domani diventa sempre più difficile da raggiungere. Aggrediti ancora una volta a causa di gretti ideali nati dalla superbia, sradicati ritornano alle origini, quasi fossero richiamati dalle loro stesse radici dimenticate.

Monticello si innalza maestosa e impolverata sulla collina. Casa costruita dagli schiavi afroamericani diventata unico rifugio sicuro per i sopravvissuti. È un ciclo che nasce dalla schiavitù e si chiude con la liberazione. Monticello diventa una fortezza, un faro nella tempesta, ultima luce in un mondo di tenebra, ultima speranza in un mondo in fiamme. I sopravvissuti si coalizzano, si supportano. Una piccolissima comunità di fuggiaschi si nasconde nella casa più in vista della città. Isolati, divisi tra la paura di rimanere bloccati lì e il terrore che a trovarli siano le persone sbagliate.

Una storia in cui i pochi sopravvissuti sono lo specchio di chi non ce l’ha fatta, di tutti gli afroamericani sfruttati nel passato, uccisi nel presente e comunque odiati nel futuro. Una prosa delicata ma tagliente che riesce a dipingere al meglio il ritratto di un’America futura che non sembra così lontana.

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