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Il trono di gelsomino: un epic fantasy ispirato ai miti induisti

Il trono di gelsomino: un epic fantasy ispirato ai miti induisti

Nominato nella lista dei Best Books of 2021 da Publishers Weekly, Library Journal e Booklist, Il trono di gelsomino è il primo capitolo della nuova trilogia epic fantasy The Burning Kingdoms ispirata alla storia e alle leggende indiane di Tasha Suri. L’autrice in realtà è nata a Londra, ma i genitori sono originari di una regione situata tra il Pakistan e l’India, che Tasha ha visitato più volte durante l’infanzia e l’adolescenza. Suri è cresciuta con una passione per i miti e le leggende indiane che l’ha portata alla scrittura prima di L’impero di sabbia e di Realm of Ash, due libri fantasy ispirati alla cultura dell’Asia meridionale, e di Il trono di gelsomino poi. Il libro ha vinto il Word Fantasy Award 2022 ed è stato pubblicato in Italia il 25 aprile dalla Fanucci, che ringrazio per la copia e per aver avuto la possibilità di leggerlo in anteprima.

Il trono di gelsomino: un fantasy tutto al femminile

“Questo era ciò di cui aveva bisogno. Non di perdono, non di un balsamo per quella strana furia che si contorceva dentro di lei, ma della promessa di qualcuno di cui prendersi cura, da amare, a cui non potesse fare del male. Anche se avesse potuto farlo. Anche se avesse dovuto farlo. Anche se ci avesse provato.”

Imprigionata sull’Hirana per ordine del fratello, l’imperatore Chandra, e drogata con il fiorespina tutte le notti dalla sua protettrice, la principessa Malini è abbastanza lucida per covare segretamente la sua vendetta. Determinata a fuggire e a raggiungere suo fratello Aditya, primo nella linea di successione prima che si ritirasse a vita monastica nella regione di Alor, Malini progetta la detronizzazione di Chandra, ma non può riuscirci senza alleati. Quando Priya le viene assegnata come serva personale, i loro destini si intrecceranno indissolubilmente.

“Se devo bruciare, allora porterò con me te, il trono e tutto il resto.”

Priya lavorava già come serva del reggente della città di Hiranaprastha, nell’Ahiranya,  in origine regno indipendente, assoggettato poi all’impero di Parijatdvipa. Ma non è una semplice serva: è una figlia del tempio.  Molto tempo prima, gli yaksa, divinità di Ahiranya poi scomparse, lasciarono ai figli del tempio grandi poteri. Poi, tre donne di Parijatdvipa, in seguito venerate come le Madri, sacrificarono se stesse affinché alcuni uomini ottenessero dei poteri in grado di scacciare gli yaksa dal mondo. In questo modo, Ahiranya fu conquistata dall’Impero. Ora Ahiranya è vittima dell’indifferenza del suo imperatore ed è diventato un paese povero, visitato soprattutto per le sue case di piacere, e infestato da uno strano morbo che non lascia scampo.

“Non c’era più il vuoto in lei. Qualunque cosa fosse, arma, mostro, maledizione o dono, adesso era intera. Sotto di lei l’Hirana era caldo. Una sua estensione.

Malini è ben consapevole del ruolo che Priya potrebbe giocare ed è determinata a utilizzare tutte le armi in suo possesso, compresa la manipolazione e la seduzione, per ottenere il suo aiuto. L’impero è ora nelle mani di due donne molto diverse tra loro, provenienti da due paesi da generazioni in lotta l’uno con l’altro, con in pugno un potere in grado di rovesciare le sorti dell’Impero.

“Hai detto di odiare chi ha sangue imperiale […] Hai parlato dei tuoi cari che bruciano. Be’. anch’io ho perso persone che amo sulla pira. Per ordine di mio fratello. Facciamo in modo che perda il trono insieme, Priya.”

Il trono di gelsomino e i suoi molteplici filoni narrativi

Il romanzo di Tasha Suri presenta molteplici filoni narrativi. In primo luogo, il rapporto tra Malini e Priya, la cui natura è chiara fin da subito.  L’attrazione che provano l’una verso l’altra, nonostante i tentativi di nasconderla, è palpabile, così come la tensione sessuale che si percepisce ogni qualvolta tra loro vi è anche il più piccolo contatto fisico. È una relazione proibita, un tipo di rapporto che non è più socialmente accettato da secoli, da quando Ahiranya è stata conquistata dall’impero.  La relazione tra Malini e Priya, inoltre, non nasce certo dalle più buone intenzioni. Malini, infatti, inizialmente sfrutta questa evidente attrazione fisica che Priya prova nei suoi confronti per avvicinarla alla sua causa e farsi aiutare nella fuga. Priya, dal canto suo, sa che Malini può essere un’alleata fondamentale nella lotta all’indipendenza di Ahiranya.

Altro filone fondamentale del libro è quello che riguarda le politiche tra l’Impero e Ahiranya: il pugno di ferro del nuovo imperatore, il rogo di donne e uomini sospettati di tramare contro di lui, il movimento ribelle guidato dai figli del tempio sopravvissuti. L’analisi del potere e del suo maledetto prezzo è il tema che attraversa tutto il libro. Ed ecco che subentrano altri quattro sottotrame: i piani di Ashok e dei ribelli per raggiungere le acque immortali e ottenere il potere degli yaksa, il doppiogioco di Bhumika, che mentre coltiva le sue amate rose come una brava moglie del reggente in realtà trama per l’indipendenza di Ahiranya, il ruolo di Rao, principe di Alor, e infine i disperati tentativi di Priya di salvare Rukh, affetto dal morbo.

La storia, quindi, presenta un gran numero di personaggi, ognuno con il proprio background e filone narrativo, ma Tasha Suri dimostra di saperli intrecciare con astuzia. La lettura, tuttavia, procede lentamente, forse a causa dell’alternarsi di molteplici punti di vista. I più interessanti sono quelli che seguono le vicende dei tre personaggi femminili principali, quindi Priya, Malini e Bhumika. A questi si intrecciano quelli di Vikram, Ashok e Rao, che purtroppo rendono la lettura altalenante e non catturano a dovere l’interesse del lettore.

I miti e le leggende induiste che hanno ispirato un worldbuilding del tutto originale

 

Punto di forza di questo epic fantasy è sicuramente un worldbuilding, con elementi inediti rispetto a quelli a cui i fantasy degli ultimi anni ci hanno abituati, ispirato ai miti e alle leggende induiste. Questi riferimenti sono relativi in modo particolare alla cultura di Ahiranya, che rielabora, per esempio, il mito della creazione dell’universo. Parlando con Malini, Priya racconta che i fiumi cosmici da cui nascono gli universi scaturiscono dal tuorlo dell’Uovo del Mondo e che, da questi fiumi, siano nati gli yaksa, i quali li hanno attraversati finché non hanno trovato il mondo sulla riva. Il più giovane di loro, Mani Ara, trovò Ahiranya e ne fece la sua casa.

I miti cosmogonie induisti sono numerosi, ma in quasi tutti si ritrova la storia dell’Uovo Cosmico, denominato Hiranyagarbha, o “grembo d’oro”, che galleggiava nell’oceano primordiale avvolto nel buio della non-esistenza. Quando si dischiuse, dalla metà superiore nacque il cielo, mentre da quella inferiore nacque la terra. Le membrane interne formarono le montagne e quelle esterne le nuvole, le vene e i liquidi formarono i fiumi e i mari. Fu la potenza del pensiero di Brahma, l’Essere Supremo, a causare la divisione dell’Uovo. Poi Brahma creò i Veda, insieme agli Asura e ai Deva e ad altri esseri che ebbero l’incarico di dirigere e governare le differenti parti della creazione. In questo senso, gli yaksa, le divinità antiche di Ahiranya, coloro da cui ha originale il potere dei figli del tempio, rappresentano un riferimento molto forte a questi esseri della cosmogonia induista.

BRAHMĀ, pittura rājpūt, Pahari di Mankot, India, 1750 c.a

 

Per quando riguarda la cultura dell’impero di Parijatdvipa, si fa riferimento all’antica pratica della sati, conosciuta anche come “rogo delle vedove”. La pratica della sati consisteva nel bruciare le vedove sulla pira funebre dei mariti. Oggi questa usanza è illegale in India, ma fino al momento in cui è stata praticata era vista come l’ultima forma di devozione femminile e di sacrificio.

Il termine sati è derivato dal nome originale della dea Sati, che si auto-immolò perché non era in grado di sopportare l’umiliazione del padre a causa del suo matrimonio con Shiva. La pratica della sati compare per la prima volta nel 510 a.C. e, storicamente, si riscontrava indipendentemente dalla casta e a ogni livello sociale. La pratica delle sati fu bandita ufficialmente il 4 dicembre 1829 da lord William Bentinck, allora governatore dell’India. Chi era coinvolto nel suicidio della vedova, tramite minacce o semplice coercizione, veniva condannato alla pena capitale. Come per l’usanza descritta nel libro, il “rogo delle vedove” era ritenuto un atto di pietà volto all’eliminazione di tutti i peccati e a garantire la salvezza alle generazioni successive.

Un epic fantasy di cui non sapevamo di aver bisogno

Il trono di gelsomino è un fantasy che ritengo valga la pena recuperare soprattutto perché porta sul panorama letterario attuale storie, personaggi e temi del tutto inediti. Ultimamente il genere fantasy, soprattutto nella sua variante fantasy-romance, è fin troppo saturo di Fae ed esseri pseudo-immortali che richiamano il buon vecchio filone degli elfi, riproposto in una chiave diversa da quella degli high fantasy come Il signore degli anelliQualunque fantasy che si discosti da questa tendenza che ormai domina gli scaffali delle librerie, è una ventata d’aria fresca.

Il trono di gelsomino non ha soltanto un worldbuilding complesso, ben studiato, (fin troppo oserei dire) ma anche personaggi credibili nella loro ambiguità e perfettamente caratterizzati. L’unico difetto, forse la moltitudine di diversi punti di vista che si alternano con il procedere della storia e che rendono la lettura un po’ altalenante, rallentando anche un lettore che normalmente divora i libri in un paio di giorni al massimo. Nel complesso, però, consiglio di cuore questo libro a chiunque sia alla ricerca di un fantasy diverso dal solito e che abbia la pazienza necessaria a farsi conquistare da questa storia.

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