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Trilogia della città di K., specchiarsi nella sofferenza

Trilogia della città di K., specchiarsi nella sofferenza

Agota Kristof (1935-2011) scrisse: “quando avrai troppa pena, troppo dolore, e se non vorrai parlare con nessuno, scrivi”. È questo il monito che segue a partire dalla sua stessa esistenza, fuggita all’invasione sovietica dell’Ungheria e successivamente naturalizzata cittadina svizzera. La sua è una scrittura chirurgica sin dalle prime pagine e il lettore, completamente trascinato all’interno delle vicende, non può fare a meno di procedere e sanguinare, sentirsi completamente destabilizzato e vinto. Trilogia della città di K. è composto da tre parti: Il Grande Quaderno, pubblicato nel 1986, La prova, pubblicato nel 1988 e La Grande Menzogna, del 1991. Tutte sono poi andate a formare l’edizione italiana del 1998 e raccontano della vita, della maturazione e dell’abbandono di due gemelli, Klaus e Lucas.

Il Grande Quaderno, raccontare e fuggire la realtà

Ambientato in una qualsiasi città dell’Est Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, Agota Kristoff scrive la storia di un’infanzia negata e continuamente violata. Lucas e Klaus, nella prima parte, vengono affidati alla Nonna, una vecchia strega, priva di sentimenti e avara, per poter sfuggire ai bombardamenti della Grande Città. I due gemelli sono caratterizzati da un rapporto indivisibile e viscerale che li rende intercambiabili, quasi ad avere un’unica anima e, all’interno del Grande Quaderno, mostrano in maniera cruda tutto il corollario di fame e morte, violenze e cattiverie tipico di un paese in guerra. Questa prima parte è una doccia fredda per il lettore, incredulo di fronte alle violenze reiterate da parte degli adulti sui bambini. Bambini completamente privi di empatia e di amore inseriti in un mondo irrimediabilmente corrotto.

È la sola differenza tra i morti e quelli che sono partiti, vero? Quelli che non sono morti torneranno.

La separazione come Prova per Agota Kristof

Alla fine della prima parte Klaus e Lucas decidono di separarsi e provare a vivere la propria vita l’uno lontano dall’altro, manifestando un dolore e un malessere profondissimo. Dalla seconda parte in poi assistiamo alla vita adulta dei protagonisti. Agota Kristof opera un totale cambio di prospettiva della narrazione tanto da far dubitare il lettore di tutto ciò che è stato raccontato finora. Attraverso tutta una serie di avvenimenti scopriamo l’anomala crescita dei protagonisti come giovani uomini in una disperata ricerca di affetto, calore e comprensione e allo stesso tempo in un totale negazione dovuta alla disperazione.

[…] Ma lei l’ama? Lucas apre la porta: “Non conosco il significato di questa parola. Nessuno lo conosce.” […] “Ma nel suo intimo che ne pensa?” “Non penso. Non posso permettermi questo lusso. La paura è in me sin dall’infanzia.”

Agota Kristof e il tema dell'allontanamento

La vicenda narrata nell’ultima parte, La Terza Menzogna, svela finalmente al lettore la verità sulla tragedia familiare dietro l’abbandono di Lucas e Klaus, ma soprattutto come una realtà distorta, fatta di follia e immaginazione, possa diventare un porto sicuro quando fuori imperversano solo odio e cattiveria. È un po’ come entrare in un labirinto di specchi e riflettere e deformare il dolore in tantissime varianti, come un caleidoscopio di sofferenze in cui si perde continuamente l’orientamento. 

Agota Kristof, con le sue tematiche sull’esilio e sull’infanzia negata dalle atrocità della guerra, qualsiasi guerra in qualsiasi tempo, ci mostra come da bambini privi di amore crescano adulti incapaci di credere e di proiettarsi nel futuro liberi nel corpo e nello spirito, molto più esposti al pensiero che la morte possa mettere il punto alle sofferenze. Così, con una chiusura spietata e tremenda, i due gemelli decidono di affrontare a modo proprio i fantasmi del passato in un incomprensibile vortice di speranza e disperazione.

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