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Sangue Cattivo di Beatrice Galluzzi, la recensione

Sangue Cattivo di Beatrice Galluzzi, la recensione

Sangue cattivo. Anatomia di una punizione di Beatrice Galluzzi, uscito il 13 settembre 2023 per Effequ Editore, racconta la storia di Beatrice, la quale si sviluppa in due narrazioni parallele: quella di Beatrice bambina, cresciuta nella periferia romana con una situazione familiare particolare, e quella di lei adulta. Quest’ultima scopre, poco prima delle proprie nozze, che i propri reni non funzionano come dovrebbero, che è una donna malata, “difettosa“, con addosso la costante sensazione di meritare questo dolore. Ed è attraverso un alternarsi tra presente e passato che conosciamo la storia dell’autrice e protagonista del testo: una storia autentica, dolorosa, vividissima. Un libro sulla malattia, sulla vita, che parla di cosa vuol dire crescere in una famiglia difficile e abitare un corpo da cui ci si sente traditi.

La trama di Sangue Cattivo: la storia di Beatrice

Sangue Cattivo. Anatomia di una punizione è la storia di Beatrice Galluzzi, o almeno quella che l’autrice sceglie di raccontarci. Il racconto si apre con l’insinuarsi della malattia nel corpo di Beatrice, poco prima delle proprie nozze. Dal gonfiore alle caviglie, dalla costante sensazione di fatica, dalla sensazione dei brividi di freddo sempre sulla pelle, fino al primo ricovero. Poco dopo ci racconta di Beatrice bambina, a Piombino, dove vive con la madre, con i nonni materni e con il timore di un padre, detto “l’ingegnere” che vede solo durante i fine settimana e con cui passa solo pochi istanti prima che scompaia di nuovo. Poco prima dell’inizio della scuola elementare, Beatrice verrà trapiantata nella periferia romana insieme ai propri genitori, a causa del lavoro del padre ingegnere, il quale insegue la vita borghese. Conoscerà, durante la convivenza con i propri genitori, la vera natura di un padre il cui umore è altalenante, ambivalente e quella della madre inerme, immobile. 

Io l’ho scelto, di essere qui. Ho cesellato questo momento, ho desiderato di morire con così tanta intensità che le mie cellule l’hanno sentito e mi si sono rivoltate contro […]. Eppure proprio adesso ho cambiato idea. Ora che ho capito di essere così efficiente nel farmi fuori voglio vivere, voglio stare meglio, voglio rimanere.”

In un alternarsi tra il racconto della propria infanzia e della propria vita adulta, Beatrice parla del proprio sangue, convinta del fatto che a circolare nel corpo ci sia del sangue cattivo, la parte peggiore, quella paterna. Nella propria malattia vede una punizione, un dolore necessario e meritato, quasi sperato, una necessaria eredità lasciatagli dal padre. Attraverso questo libro l’autrice racconta la scoperta della propria malattia (e quello che ne è conseguito) e la propria infanzia difficile con una scrittura tagliente ed ironica

 

Il racconto della malattia in Sangue cattivo

La storia ha inizio con i primi sintomi della malattia: la stanchezza cronica, il gonfiore, i brividi di freddo nonostante la temperatura esterna. Beatrice scoprirà la propria malattia dopo un primo ricovero in cui verranno effettuati esami invasivi e dolorosi per il suo corpo, una malattia che in un primo momento viene annunciata come incurabile, senza via di fuga, ad un livello di gravità che non permette di poter tornare come prima. Il tema della malattia, del corpo che cambia e non dimostra l’età cronologica di colei che lo abita, rappresenta un argomento difficile da leggere, che parla di un tradimento intimo subito dal proprio stesso sangue, da quel sangue cattivo e malato ereditato dal padre. Ma una diagnosi di un disturbo fisico, per Beatrice, rappresenta un piccolo sospiro di sollievo, la conferma di non essere pazza, ma malata. Nonostante questo però, è comunque un corpo malato, in un momento della vita in cui dovrebbe ricoprire il ruolo di “sposina”, motivo per cui non si lascerà andar al proprio dolore, ma cercherà di sopportarlo e mascherarlo. Nonostante questo, a noi lettori, la narrazione del dolore arriva vivida e intensa, seppur celato a coloro che la vedono. 

Avrei dovuto ascoltare il dolore. Avrei dovuto dare importanza alle fitte, alla fiacca, alla voglia di morire; che a forza di desiderare la morte, il corpo parla con la mente, e si mettono d’accordo. Pensavo che il dolore fosse necessario, che io fossi il dolore, che senza una fitta a ricordarmi di camminare, a spingermi in avanti, a piegarmi, a tenermi sveglia, non avrei provato nient’altro.”

Dopo la morte del padre, avvenuta pochi anni prima della diagnosi, Beatrice aveva un nuovo inizio davanti a sé. Il ritorno in Toscana, lontano dalla frenetica Roma, una nuova felicità con un compagno amato. Ma la felicità sembra sgretolarsi davanti ai suoi occhi, per un dolore che è convinta di meritare. Si tratta di una malattia che coinvolge i reni della protagonista, alterando il sistema di filtraggio del tratto urinario, anziché eliminare il cattivo e trattenere il buono, il corpo di Beatrice impara a fare l’opposto. Sintomatologia in cui la protagonista rivede la metafora della propria infanzia. 

Storia di una famiglia disfunzionale

“Per quanto cercassero di contenermi, per quanto lei provasse a plasmarmi innocua e remissiva, per quanto io avessi paura dell’ingegnere e di quello che avrebbe potuto farci se solo una volta i suoi attacchi fossero andati quel tanto più in là, c’era qualcosa che a loro sfuggiva come sfuggiva a me, qualcosa di rotto, una falla, un malfunzionamento che non si sarebbe potuto aggiustare con la colla, o nascondere dal lato del muro.”

Beatrice, dopo i primi anni di vita relativamente sereni, in cui il padre non era una presenza costante nella propria vita, dovrà imparare a convivere con una situazione familiare complessa una volta trasferitasi nella periferia di Roma, convivendo con i suoi genitori. Un padre ambivalente, spaventoso, violento, dal punto di vista fisico e psicologico, i cui picchi più alti e positivi presagivano un successivo crollo. Un padre fonte di paura il cui sangue cattivo avvelena l’umore, la testa, sfociando nella psicopatologia (non meglio specificata) ed una madre remissiva, poco affettuosa e distaccata. Un’infanzia in cui ha dovuto convivere con la paura e la pazzia, come un “coniglio impaurito”, metafora che si ripete in diverse occasioni all’interno del testo e che rende chiara la situazione della giovane Beatrice. Vivendo costantemente “sotto assedio” e con la sensazione che possa sempre stare per accadere qualcosa di terribile, sentendosi sempre quella figlia inadatta e sbagliata, il risultato inevitabile sarà sentirsi meritevole di dolore, di sofferenza. 

Questo chiaro legame tra la malattia e la propria famiglia, la Beatrice bambina e quella adulta, danno voce ad un romanzo duplice, due storie parallele che si raccontano l’un l’altra e si collegano in molteplici situazioni che porteranno ad un epilogo che rappresenta una rivincita, sia nei confronti della propria famiglia che nei confronti del proprio corpo. 

La scelta di narrare la propria storia: l'auto-fiction di Beatrice Galluzzi

La scelta di narrare di sé potrebbe sembrare la più immediata per uno scrittore, ma nasconde le sue complessità. Narrarsi non risulta sempre come uno strumento terapeutico, costringe lo scrittore a rivivere quanto già successo, rielaborarlo in numerose situazioni nuove, con un’ottica presente e antica. Immergersi nuovamente nel proprio passato, acque già sondate, ma con la consapevolezza di ciò che vi si cela al di sotto. Soprattutto quando si racconta un passato così complesso, com’è l’infanzia raccontata dall’autrice ed il dolore della sua malattia, riviverlo nella parola scritta può rappresentare un nuovo trauma. Ma è una scelta che permette a coloro che leggeranno questa storia di ritrovarsi, riconoscersi e riscoprirsi attraverso la vita di qualcun altro. Uno strumento che permette di esorcizzare il proprio passato, svuotarlo e riempirlo ancora di nuovi significati. Una scelta audace, portata avanti con una scrittura diretta, autoironica e tagliente. 

Lettori che potranno amare Sangue Cattivo:

Sangue cattivo è uno dei libri che fanno parte del progetto BookRave, le cui protagoniste sono otto case editrici indipendenti, tra cui Effequ Editore, la casa editrice che ha pubblicato il libro a cui è dedicato questo articolo. Si tratta di un progetto dedicato alla lettura in cui sono coinvolti lettori e librerie. Ogni trimestre verrà scelta una tematica per cui sarà poi selezionato un libro da ognuna delle otto case editrici. Il tema scelto attualmente è “corpi” e la proposta di Effequ Editore è stata Sangue cattivo. Anatomia di una punizione, vista la tematica della malattia fisica. 

Il libro di Beatrice Galluzzi potrebbe interessare a coloro che sono interessati a conoscere meglio il tema della malattia e del corpo nel momento del cambiamento. Si tratta di un libro adatto per coloro che apprezzano particolarmente l’autofiction e le storie intense, che possono coinvolgere il lettore dal punto di vista emotivo, permettendogli di empatizzare con la protagonista o di conoscere storie che risuonano con la propria condizione. Un testo difficile da leggere, ma che lascia molto ai propri lettori. Spero che incontri lettori e lettrici che saranno capaci di apprezzarlo, riconoscersi e ritrovarsi. Un libro che consiglio a chi apprezza storie narrate da voci femminili e storie autentiche che parlano di conflitti familiari

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