OPINIONISTA
Quando i vent’anni colpiscono forte: la crisi del quarto di secolo

Quando i vent’anni colpiscono forte: la crisi del quarto di secolo

Il senso di smarrimento si fa strada nella vita dei ventenni odierni sempre con più forza, ritrovandoli divisi a metà tra la carriera universitaria (appena iniziata e quindi incomprensibile, o agli sgoccioli e quindi nostalgica) e un mondo del lavoro che sembra non avere posto per nessuno. Da qui nasce quella che è ormai conosciuta come la crisi del quarto di secolo, definito dallo psicologo Alex Fowke come “un periodo di insicurezza, dubbio e delusione che circonda la carriera, le relazioni e la situazione finanziaria”. Quel senso di vuoto che deriva dalla perdita del proprio sentiero è presente in ogni declinazione nella letteratura, che sia contemporanea o classica. Il periodo oscuro che sono gli anni tra i venti e i trenta sembra essere un labirinto di scelte impossibili. Ci si ritrova smarriti in una vita che ha mille strade, persi come Alice dentro la tana del Bianconiglio, come Dante nella selva oscura. Luciano De Crescenzo, in 32 dicembre, diceva:

Tutti sono capaci di dire “Come ero felice a vent’anni!” Che poi non è vero, non si era felici a vent’anni.

E quanto aveva ragione. 

Disillusione, smarrimento e mancanza di certezze nei romanzi per i nuovi adulti

Molti autori hanno messo nero su bianco questa sensazione di vuoto, per cercare di dare un senso al caos e porgere una mano amica verso chi si sente solo e confuso. La ricerca di se stessi non è un argomento nuovo alla letteratura e anzi alcuni dei libri che trattano questo tema sono tra i più amati e conosciuti di sempre: Siddhartha, L’alchimista, L’arte di conoscere se stessi… Quello che distingue queste narrazioni da quelle classiche è che i ventenni di oggi si sentono persi non solo interiormente, ma anche in relazione alla realtà, alla società. I protagonisti sono disillusi nei confronti di un mondo che sta andando a rotoli, di una società i cui valori sono spesso dubbi.

La parola chiave di queste narrazioni incentrate sulla crisi del quarto di secolo è smarrimento: gli studi, il mondo del lavoro, niente sembra avere un vero e proprio senso. La mancanza di una stabilità economica si allarga anche all’ambito relazionale e questo smarrimento si riflette nei rapporti sentimentali con gli altri, sottili e fragili. Legami deboli e spesso disfunzionali, che intrappolano i protagonisti e ne peggiorano la già precaria fiducia in se stessi. Queste storie sono una specie di romanzo di formazione tardivo, in cui il target si sposa dall’adolescenza al periodo subito successivo. I toni sono spesso caustici, disinteressanti e cinici, spesso sfociando in una sorta di atmosfera decadente.

la crisi del quarto di secolo

Di queste problematiche si sono fatte portatrici le voci di autrici come Sally Rooney e Dolly Alderton. Entrambe riflettono in tutti i loro romanzi la società odierna e la condizione dei “nuovi adulti”, mostrando il lato amaro della vita e le sue difficoltà, che sembrano essere insormontabili. La bellezza nascosta di questi romanzi sta nel capire che, per quanto alcuni dolori sembrino essere personali e privati, in realtà sono lo specchio di un’intera generazione: nessuno sa veramente quello che sta facendo, ma in qualche modo sta trovando il proprio equilibrio.

I vent’anni sono quel momento in cui ci si butta nel mondo senza rete di protezione e si prova quel senso di sconfinata insicurezza; un po’ come quando ci si butta in mare per la prima volta senza salvagente, o come quando si fa il primo giro in bici senza rotelle. Questo filone trova un punto in comune con la tendenza diffusa negli ultimi tempi dei sad hot girl book, le cui protagoniste ventenni annaspano nel mare della vita alla ricerca del proprio posto nel mondo.

Cleopatra e Gerolamo: ignavi e confusi

Uno degli esempi più recenti del genere, pubblicato proprio lo scorso anno, è Cleopatra e Frankenstein di Coco Mellors. Nel libro i due (che si chiamano in realtà Cleo e Frank) iniziano una relazione che in poco tempo degenererà in un rapporto tossico e malsano per entrambi. Paradossalmente, però, è scoprendo i propri difetti che Cleo riesce a capire veramente cosa vuole dalla vita, accettandosi. Questo viaggio interiore presentato dall’autrice rende al meglio il messaggio che il libro vuole inviare: siamo tutti incasinati, egoisti e spesso immaturi. Nessuno sa veramente cosa sta facendo della propria vita ma ha brevettato un metodo personale per cercare di tenere nascoste le proprie fragilità e riuscire a stare a galla durante le tempeste della vita. 

Coco Mellors in Cleopatra e Frankenstein prende quei demoni latenti e li mette in bella mostra, impossibili da non notare. Lo fa con la depressione di Cleo e con l’alcolismo di Frank; persino i personaggi secondari non sfuggono alla sua lente: ognuno, in questa storia, è infelice a modo suo.
Il libro però finisce con l’essere un avvertimento, una proclamazione, calzante per la crisi del quarto di secolo: la vita fa schifo ma alla fine, in qualche modo, si riesce a trovare il proprio equilibrio nonostante la strada per arrivarci sia piena di perdite. Alla fine, la vita è riuscire a sopravvivere a sé stessi.

In questo panorama di voci e protagoniste femminili spicca invece Gerolamo, protagonista di 25, libro di Bernando Zannoni, che incontra il lettore a pochi giorni dal suo venticinquesimo compleanno. Un punto particolare della sua vita in cui non riesce a lasciare andare le cose del passato e buttarsi in un futuro sconosciuto. La vecchia e vuota casa di famiglia, il solito bar con le solite persone, tutto fermo nel tempo. Zannoni mette nero su bianco le sofferenze di un’intera generazione, parlando dei suoi appartenenti come di ignavi:

Da Barracus si accalcavano i ragazzi della sua età. Erano tanti, divisi in gruppi sparuti, sparsi nel locale e sui marciapiedi della strada. Qualcuno era vestito male, altri meglio, alcuni ti guardavano storto senza nessun motivo, avvolti da un brusio costante. Stavano fermi a chiacchierare, in piedi o seduti, talvolta spintonandosi, formando un pubblico di anime mosse. C’era chi studiava, chi aveva già un lavoraccio, chi invece non faceva nulla, e per assurdo sembrava avere capito tutto. Gero li chiamava gli ignavi, e non che lui si escludesse da questo insieme: vivevano di niente, diretti da nessuna parte, rosicchiavano la realtà giorno per giorno. Tutti avevano qualcosa che non andava. Tutti soffrivano di ansie, paure e angosce, nascoste sottopelle, dove se ne intravedono i contorni, e loro le coprivano con il cappotto.

Affrontare la crisi del quarto di secolo: mal comune...

Persi nel tempo della propria vita, a metà tra chi sono stati e chi dovrebbero diventare, stanchi di fronte ad un mondo che i deboli li scarta, li lascia a vagare per le strade buie in cerca di una via o, peggio, li mangia come Crono con i suoi figli — questi sono i ventenni e i trentenni di oggi. Quasi come se la vita fosse una partita in cui ci sono vinti e vincitori, qualcuno nel cammino resta indietro mentre gli altri portano con sé il vuoto della mancanza. E paradossalmente, più queste storie mettono in mostra il lato sgradevole della vita, più ci si sente sollevati dal peso di dover dare un senso a tutto, di dover capire subito chi essere e perché. È una pace che deriva dalla consapevolezza che ogni dubbio, ogni incertezza, troverà la sua risposta prima o poi. Forse il segreto, per ora, è prendere ogni giorno come viene.

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