OPINIONISTA
Bussola letteraria: guida alla narrazione del sé

Bussola letteraria: guida alla narrazione del sé

Da dove nasce il desiderio, il bisogno, l’urgenza di raccontarsi? E la curiosità di conoscere e ascoltare storie di altri? Dopotutto spesso accade che, nelle narrazioni di altri, riconosciamo parti di noi. Nel secolo scorso in particolare, sono iniziati a comparire sempre più frequentemente narrazioni autobiografiche. Dalla massima aderenza alla verità dei fatti, con cenni storiografici, fino al mescolarsi di finzione e realtà, unione che ha dato vita a nuovi generi letterari. Negli ultimi vent’anni infatti due nuovi generi in particolare, con impronta autobiografica, hanno iniziato a scalare le classifiche ed entrare nel cuore dei lettori: il genere del memoir e l’autofiction. In questo articolo guarderemo un po’ più da vicino i due generi insieme, consigliando alcuni titoli nati dal desiderio di raccontare del proprio sé e dalla necessità del lettore di conoscere storie di vita vera. 

Dalla narrazione autobiografica al bisogno di raccontarsi del nuovo secolo

Il genere autobiografico è sempre stato presente in letteratura. Si tratta di un genere in cui l’autore ricostruisce eventi della propria vita ritenuti particolarmente importanti, attraverso la rievocazione di ricordi e con una certa precisione dal punto di vista storico e cronologico. Non sempre la forma è in prosa: può essere scritta in versi, in forma saggistica, come un’opera teatrale, in forma di fumetto. L’autobiografia è caratterizzata dalla veridicità degli eventi narrati, dalla fedeltà alla realtà, dal desiderio di raccontare vite che hanno della straordinarietà e da un pizzico di arroganza, talvolta.

Se precedentemente il genere autobiografico si è avvicinato alla narrazione storica degli eventi, durante il XX secolo ha iniziato ad avvicinarsi ad una forma più narrativa, tendendo al romanzo, con elementi verosimili, ma non reali, di finzione. Ricordiamo testi letterari particolarmente rilevanti di questo periodo come Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, La coscienza di Zeno di Italo Svevo, L’uomo senza qualità di Robert Musil, Memorie di una ragazza per bene di Simone de Beauvoir. 

 

 In questo periodo storico si evince una particolare influenza dovuta alla nascita della psicoanalisi, in cui il racconto di sé rappresenta il punto centrale del trattamento terapeutico e l’Io viene posto al centro.  Al tempo fu una grandissima svolta per quanto riguarda la prospettiva con cui osservare il mondo e con esso la narrazione letteraria.  Ancora oggi la narrazione del è al centro di diverse scuole di psicoterapia e viene utilizzata come strumento nel percorso terapeutico. La narratività rappresenta spesso un aspetto fondamentale nel contesto psicoterapeutico, insieme alla scrittura di sé ed il racconto in formula narrativa del proprio vissuto. 

Sempre più spesso quindi, narrativa e autobiografia, finzione e realtà, si sono incontrate all’interno di opere letterarie fino ad arrivare alle narrazioni autobiografiche che riconosciamo ad oggi. In particolar modo potremmo suddividere questa tipologia di letture in tre macrocategorie: l’autobiografia, l’autofiction, ed il memoir. Ma quali sono le differenze tra i tre sottogeneri? Quali sono le loro caratteristiche principali? Osserviamole più da vicino.

La narrativa autobiografica: la narrazione del reale

L’autobiografia è una tipologia di narrazione che prevede il racconto della propria vita da parte di chi scrive, o di un determinato periodo della stessa. Una forma letteraria particolarmente legata alla veridicità dei fatti narrati, che spesso ha inizio con la nascita del protagonista/scrittore. Si tratta di un genere letterario attraverso cui lo scrittore narra gli eventi principali del proprio vissuto, ripercorrendone l’aspetto emotivo, i propri pensieri, con un particolare focus spesso su ciò che ha reso l’individuo un soggetto di una certa fama, ad esempio i propri studi ed i traguardi ottenuti in determinati campi. La caratteristica ricorrente delle autobiografie è infatti la fama del narratore e protagonista, il racconto dei suoi traguardi, di come ha raggiunto la fama nel suo campo. Si narra quindi la vita di un soggetto che vive già circondato da un grande pubblico interessato a conoscere la sua storia. 

Tra gli esempi più recenti della letteratura contemporanea pensiamo ad esempio al capolavoro di Marina Abramovic, Attraversare i muri. La celebre performance artist in questa autobiografia sceglie di celebrare il suo legame con la sua forma d’arte, raccontandone gli esordi, come è diventata l’artista che ad oggi conosciamo, gli anni di carriera artistica e la relazione sentimentale con il suo collega Ulay. Al centro di questo libro c’è il legame che si è creato tra la sua vita e la sua arte, l’individualità dell’autrice, le caratteristiche della sua persona che hanno inevitabilmente influenzato la sua carriera, come la sua curiosità ed il desiderio di entrare in contatto con l’altro. 

Altra celebre autobiografia degli ultimi anni è Greenlights scritta dall’attore Matthew McConaghey, libro che rappresenta una testimonianza dell’approccio alla vita da parte dell’autore. Un insieme di massime, pensieri e idee, che hanno come filo comune di raggiungere quello stato d’animo che permette di superare ogni sfida, definito dall’autore “semaforo verde”, da cui il titolo. 

Le autobiografie sono quindi solitamente scritte da persone di un certo spessore dal punto di vista sociale, individui di una certa fama, tra cui performer del mondo della musica come Elton John (Me: Elton John) e Britney Spears (The woman in me) o persone con ruoli di spicco dal punto di vista politico come Barack Obama (Una terra promessa). Individui che hanno ricevuto premi di rilievo come Malala Yousafzai (I am Malala), o persone che sono state al centro di scandali: per esempio il Principe Harry (Spare) o Pamela Anderson (In Liebe, Pamela). Non capita di rado che personaggi famosi di questo calibro scelgano di collaborare con Ghost Writers per la produzione di questi libri. 

Questi libri, pur essendo nel panorama letterario attualmente sempre meno presenti, non è raro che ottengano comunque un certo successo editoriale ed è spesso possibile che si posizionino ai vertici delle classifiche dei libri più venduti. Negli ultimi vent’anni, in particolare, la narrazione autobiografica non è scomparsa, ma si sta modificando, diramandosi in due filoni principali dall’impronta sempre autobiografica: parliamo in particolare del genere del memoir e dell’autofiction.

Il memoir: la narrazione del sé senza tralasciare l'emotività

Cosa differenzia il memoir dall’autobiografia? E quali sono le sue caratteristiche principali? La prerogativa fondamentale del  genere letterario del memoir è il forte legame con dimensione emotiva del racconto di sé. Il narratore scrive la propria storia solitamente concentrandosi su un determinato periodo, evento o aspetto della propria vita, rievocandone le emozioni, le riflessioni e come è stata vissuta l’esperienza narrata. La coerenza dal punto di vista cronologico è spesso assente, la storia è riproposta similmente a come è conservata nella memoria di chi scrive, che non è sempre detto si ricolleghi alla veridicità di quanto narrato. Il genere del memoir è caratterizzato da un focus sul racconto emotivo, su una narrazione colma di intensità che fa breccia nella sensibilità del lettore, invitandolo ad empatizzare con chi scrive. La cura è nel contenuto emotivamente pregno, differentemente dall’autobiografia che invece ripropone una veridicità di fondo, un’affidabilità da parte del narratore. 

 Il memoir è un genere ibrido che è sempre più spesso proposto dagli scrittori e che molti lettori apprezzano, probabilmente perché è più immediato ritrovare sé stessi nella narrazione di eventi accaduti realmente a chi racconta, soprattutto se caratterizzati da una narrazione emotivamente intensa, sentimenti umani personali, resi universali attraverso la loro forma narrativa. 

L’obiettivo di molti di questi titoli è di raccontare esperienze particolarmente dolorose, spesso con scopo catartico, tra questi titoli ricordiamo ad esempio L’anno del pensiero magico dell’autrice Joan Didion. Un memoir, arrivato a far parte dei libri bestsellers mondiali, che racconta in un monologo da parte dell’autrice, la morte improvvisa del marito e dell’unica figlia della coppia, riportando i sentimenti contraddittori e struggenti suscitati dal lutto. Anche Matteo Bianchi, scrittore italiano e direttore della casa editrice indipendente Accento Edizioni, ne’ La vita di chi resta racconta un lutto personale in forma di memoir narrando un punto di vista poco presente in letteratura, quello di persone legate sentimentalmente a chi si è tolto la vita, anche detti “survivors”. Una voce fondamentale dal punto di vista emotivo per individui che si trovano nella stessa spiacevole condizione e che possono trovare di conforto una lettura che mette per iscritto sentimenti ambivalenti spesso taciuti e raramente rappresentati. Un libro certamente doloroso, ma di cui molte persone potrebbero aver bisogno. 

 

I memoir avendo come argomento principale la sfera emotiva di chi scrive, parlano di relazioni tra individui. In particolare, un recente titolo che ha colto l’attenzione su diversi social, essendo scritto da un’ex baby star di Nickelodeon,  Sono contenta che mia mamma è morta di Jeanette McCurdy che racconta la relazione disfunzionale tra una madre e una figlia, quest’ultima spinta a fare l’attrice fin da bambina da una parte per imposizione e dall’altra per desiderio di rendere orgogliosa sua madre. 

Sul tema delle relazioni più in generale, la scrittrice Dolly Alderton, con il suo Tutto quello che so sull’amore ha coinvolto e fatto immedesimare tanti millenials. Un libro che racconta la sensazione di grande confusione riguardo la vita sentimentale e lavorativa di una ragazza inglese nel periodo tra i venti e i trent’anni, in una narrazione che si sviluppa tra ricette, email e momenti di crisi. Per quanto riguarda le relazioni sentimentali, Forse dovresti parlarne con qualcuno di Lori Gottlieb si dedica al racconto della fine della sua storia d’amore all’età di quarant’anni, conclusione arrivata in maniera totalmente inaspettato, che ha portato la psicoterapeuta protagonista delle vicende a cercare un supporto psicoterapeutico per poter affrontare questa rottura. 

La componente emotiva di questi titoli, aiuta il lettore a riconoscersi e ritrovarsi in situazioni di vita verosimili e possono avere un effetto positivo in coloro che scelgono di immergersi in queste pagine, non offrendo soluzioni, ma concedendo il conforto di sentirsi meno soli in ciò che si sta affrontando e provando

 

L'autofiction: il genere tra realtà e finzione

Il primo a parlare di questo genere fu lo scrittore Serge Doubrovsky, e sembrerebbe aver individuato nel titolo più celebre, e più prolisso, di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, il primo libro riconducibile al genere dell’autofiction. Secondo l’autore che diede nome a questo nuovo genere, la componente finzionale del racconto di sé, rappresenterebbe uno strumento utile nella ricerca della propria identità, così come la psicoanalasi. Questa forma narrativa ricordiamo che prende vita poco dopo l’entrata in scena della psicoanalisi freudiana, per cui metafore, associazioni e interpretazioni simboliche, rappresentano il fulcro stesso della corrente psicoanalitica, il cui obiettivo è la scoperta del significato latente dietro al contenuto manifesto. L’autofiction prende a piene mani ispirazione da questo concetto. In questo genere letterario lo scrittore è l’assoluto protagonista delle vicende narrate, nonostante talvolta sia presentato con un nome diverso, e ciò che viene raccontato è situato all’interno di un continuum tra la realtà e la finzione. Vengono prettamente presentate situazioni verosimili come rappresentazioni colorite che hanno lo scopo di comunicare un determinato concetto prendendosi la libertà di cambiarne la forma. Il narratore non ha l’obbligo di raccontare il vero, sceglie quindi di raccontarsi, parlare di sé, scegliendo di presentare eventi più o meno aderenti alla realtà.

Diversi libri molto conosciuti appartengono a questo genere letterario, tra cui alcuni classici come La coscienza di Zeno di Italo Svevo, La campana di vetro di Sylvia Plath, in cui l’autrice parla della sua depressione dando voce ad un suo personaggio, L’amante di Marguerite Duras o L’altra verità di Alda Merini, di cui abbiamo parlato in un articolo. Il contenuto emotivo è reale, riconducibile al vissuto degli autori, protagonista e scrittore combaciano quasi perfettamente, ma le vicende narrate non promettono di essere assolutamente reali, ed è ciò che differenzia il genere autobiografico e l’autofiction.

Molte opere del secolo corrente appartengono al genere dell’autofiction, ed in particolare nel panorama italiano diversi titoli coincidono con la definizione di questo genere, tra cui diversi titoli candidati al Premio Strega. Il libro di Veronica Raimo, Niente di Vero è un dissacrante auto-romanzo di formazione in cui l’autrice sviscera le proprie personalissime esperienze di vita con tono ironico e nonostante ciò intimo, tra gli inganni della memoria e gli abbellimenti dei ricordi che rischiano di falsare la realtà. Sulla stessa linea e sempre opera di giovani scrittori italiani, ma con una maggiore fedeltà alla realtà degli eventi, troviamo Febbre di Jonathan Bazzi, il racconto della scoperta da parte dell’autore di essere sieropositivo, e Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli. Quest’ultimo è un autore che si è cimentato in diverse occasioni con l’autofiction, offrendo la propria esperienza personale nel racconto delle problematiche emotive e comportamentali, tra cui il racconto del ricovero per un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), richiesto successivamente ad una crisi di rabbia. 

 

Altri autori del panorama estero si sono cimentati nella scrittura di autofiction. Tra loro, c’è la vincitrice del Premio Nobel per la letteratura del 2022, Annie Ernaux, in particolare con il titolo L’evento, in cui l’autrice sceglie di raccontare della sua esperienza di aborto in Francia durante un periodo storico in cui non era possibile abortire legalmente. Amelie Nothomb  invece, autrice belga edita Voland in Italia, ha scelto questo genere letterario per raccontare la propria esperienza da europea lavoratrice in Giappone e le condizioni scomode che si è ritrovata a vivere in Stupori e Tremori. Altri autori invece, attraverso questo genere, si sono concentrati sul racconto di sé, del proprio vissuto emotivo e delle filosofie che hanno incontrato e scelto di includere all’interno della propria vita, come fa Emmanuel Carrère all’interno di Yoga. Altri, invece, cercano di sconvolgere il lettore oscillando vorticosamente tra finzione e realtà , come Bret Easton Ellis fa in Schegge

L'autofiction e il memoir si mescolano ad altri generi ancora:

Quando la narrazione del sé si mescola ad altri generi, possono venir fuori opere particolarmente significative per i lettori, parliamo ad esempio di graphic novel che appartengono al genere del memoir o dell’autofiction. Pensiamo ad esempio a  Ducks dell’autrice Kate Baeton, che pur mantenendo un certo distacco emotivo, racconta l’esperienza da lavoratrice donna in un contesto prettamente maschile in cui ha dovuto subire atteggiamenti particolarmente negativi. Altro titolo che vale la pena menzionare quando parliamo di questa tipologia di narrazioni è La mia ciclotomia ha la coda rossa di Lou Lubie, graphic novel (a cui è stato dedicato un articolo qui su strega) in cui l’autrice racconto in che modo ha scoperto di avere un disturbo dell’umore e come ha affrontato questa notizia, mettendosi a nudo e raccontandosi. Sempre appartenente a questo incontro di generi potremmo menzionare le graphic novel di ZeroCalcare

Un’altra particolare combinazione tra due generi, ad un primo sguardo distanti, ma che può riservare grandi perle, è tra la saggistica e l’autofiction. Eccentrico di Fabrizio Acanfora, racconta l’esperienza della scoperta della propria diagnosi di autismo dell’autore, con preziosi elementi saggistici che possono permettere al lettore di conoscere meglio l’autismo e come interfacciarsi con individui autistici grazie all’esperienza personale di una persona direttamente coinvolta. Non morire di Anne Boyer, Premio Pulizer 2020, invece racconta la scoperta dell’autrice della diagnosi di cancro al seno. La via del bosco di Litt Woon Long, invece, racconta l’esperienza del lutto dell’autrice che, dopo la perdita del marito, decide di dedicarsi allo studio dei funghi ed in questo libro ci porta con sé alla scoperta di questo campo e di sé dopo questa dolorosa esperienza.  

Cosa accadrà al genere autobiografico?

L’autobiografia è un genere che può sembrare in estinzione, ma che in realtà sta semplicemente prendendo forme diverse. Per quanto sia difficile distinguere tra loro autobiografia, memoir e autofiction e incasellare un titolo in uno solo di questi generi, la loro ibridazione sta però permettendo di dare un importante spazio per raccontarsi a individui che non godono in principio di grande fama, e di dar maggiore spazio alla componente emotiva della narrazione. Narrare di sé è un’esperienza che può essere catartica e a tratti necessaria per lo scrittore, e allo stesso tempo può rivelarsi salvifica e di supporto per il lettore che si ritrova a vivere situazioni di vita simili. Noi esseri umani siamo profondamente legati a contenuti di natura emotiva, siamo attratti da ciò che ci fa provare forti emozioni e siamo istintivamente curiosi di conoscere l’altro, ragion per cui credo personalmente che la narrazione di sé non vedrà presto una fine.  

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