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Northanger Abbey, un romanzo sull’arte di leggere

Northanger Abbey, un romanzo sull’arte di leggere

Ci sono autrici e autori che, per quanto riconosciuti siano, io, come molti atri, ho paura di avvicinare. Mi correggo: non è proprio paura, quanto un sentimento che sta a metà fra l’ammirazione per la loro immensità, la diffidenza nei confronti del loro talento e la presunzione di pensare che non sia rilevante approfondirli. Jane Austen era probabilmente la prima a capo di questa schiera. Uso l’imperfetto perché, come potrete supporre, Northanger Abbey ha saputo mettermi al mio posto e vincere le mie resistenze. Permettetemi allora di fare lo stesso per voi e introdurvi a un classico della letteratura inglese frizzante come pochi!

Northanger Abbey, in breve

In quanto alla storia, niente che non sia noto a chi abbia una conoscenza anche solo superficiale con Jane Austen: soggiorni a Bath per la stagione estiva, sale da ballo piene fino al soffitto di giovani danzanti, chiacchiere sui suddetti giovani a braccetto della più cara amica. Non mancano, inoltre, incomprensioni fra amanti e amici, verità di famiglia stravolgenti e l’immancabile vissero-tutti-felici-e-contenti. È vero, dal punto di vista della trama e dei luoghi Northanger Abbey non si discosta più di tanto dalle opere successive (anche se pubblicata per ultimo, postuma, Northanger Abbey risale ai tempi dei Juvenilia). È però nella centralità che viene data alla lettura che  Northanger Abbey si distingue da tutte le altre. Insomma, in Northanger Abbey si parla di questo passatempo che tanto amiamo, ma anche di saper distinguere fra realtà, finzione e apparenza. In altre parole, di saper essere dei buoni lettori, tanto del mondo reale quanto di quello narrativo.

Ironia senza freni in quel di Northanger Abbey

Come primo approccio ai romanzi di Jane Austen, non ho potuto fare a meno di notare come l’acclamata ironia austeniana si manifesti in Northanger Abbey sin dalle prime righe e senza sottigliezze di sorta. 

«No one who had ever seen Catherine Morland in her infancy would have supposed her born to be an heroine. Her situation in life, the character of her father and mother, her own person and disposition, were all equally against her.»

La sua ironia è dirompente e sfrontata, una vera e propria esplosione incontenibile. Investe nella sua corsa a briglia sciolta tanto la sua protagonista, Catherine Morland, quanto il parentado più prossimo, creando un’indissolubile complicità fra la voce narrante e chi legge. Certo, Jane Austen ha poi raggiunto la propria fama per la sottigliezza con cui sa prendersi gioco dei suoi personaggi, ma vedere la libertà con cui si muove la sua ironia in questo primo capitolo di Northanger Abbey è stato proprio quello che mi ha fatto capitolare.

Catherine Morland: l’(anti)eroina di Northanger Abbey

«But from fifteen to seventeen she was in training for a heroine; she read all such works as heroines must read to supply their memories with those quotations which are so serviceable and so soothing in the vicissitudes of their eventful lives.»

Ogni volta che la voce narrante chiama Catherine ‘eroina’ viene quasi naturale aggiungere un’inflessione sarcastica nella lettura. Questo perché Catherine non ne ha l’aspetto né tantomeno le doti, figurarsi la caparbietà o la capacità di giudizio, di una Elizabeth Bennett!  Com’è inevitabile in un romanzo che parodia un genere, in Northanger Abbey Catherine è oggetto di scherno della sua narratrice, ma lo è allo stesso modo in cui lo si è tra membri della stessa famiglia: con affetto più che con vera malizia. 

 

È un’anti-eroina nel senso più bonario del termine, genuina come poche e incapace di pensare che le persone abbiano secondi fini o che possano volontariamente fingere i propri sentimenti — Henry Tilney terrà infatti a sottolineare come la sua mente sia “warped by an innate principle of general integrity”. A questo proposito, nel mondo accademico alcuni sostengono che Catherine Morland sia un’eroina neurodivergente, il che spiegherebbe, ad esempio, la sua poca prontezza nel leggere le persone che le stanno intorno.

Un’antieroina a difesa della narrativa

Completano il quadro della sua unicità come anti-eroina la lettura e l’amore spropositato per i romanzi gotici come I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (a cui Northanger Abbey fa in parte il verso). Sono caratteristiche, queste, che detteranno nel bene e nel male le azioni di Catherine e che informano l’intera storia nella sua struttura più profonda. Memorabile è infatti l’intervento a difesa dei romanzi al termine del capitolo 5. Un momento prima sorridiamo al pensiero di Catherine e Isabella Thorpe rintanate a leggere (certe cose non sembrano essere cambiate di un virgola, vero?) e quello dopo vediamo Jane Austen autrice mostrarsi a volto scoperto per sottolineare il valore di una forma letteraria derisa quando non apertamente insultata.

«[T]here seems almost a general wish of decrying the capacity and undervaluing the labour of the novelist, and of slighting the performances which have only genius, wit, and taste to recommend them. […] “And what are you reading, Miss—?” “Oh! It is only a novel!” replies the young lady, while she lays down her book with affected indifference, or momentary shame. “It is only Cecilia, or Camilla, or Belinda”; or, in short, only some work in which the greatest powers of the mind are displayed, in which the most thorough knowledge of human nature, the happiest delineation of its varieties, the liveliest effusions of wit and humour, are conveyed to the world in the best-chosen language.»

Se proprio dovevano abbassarsi a leggere della narrativa, uomini ‘saputi’ come Mr Thorpe, il fastidioso fratello di Isabella, si fermavano a Tom Jones di Henry Fielding o al Monaco di Matthew Lewis — solo storie scabrose, moralmente dubbie e splatter per i very uominy della Regency. Per non parlare della superiorità indiscussa che sempre soggetti del genere riconoscevano alla storia su qualsivoglia forma letteraria. Ciò che però ignoravano è che la storia, come tiene a sottolineare Mr Tilney (e come è stato dimostrato dalla prospettiva metastorica), presenta essa stessa una componente narrativa, anche solo nel suo andare a mettere in ordine eroi, discorsi e imprese. 

Perché Northanger Abbey è (ancora) attuale

Abbiamo detto come Catherine sia una lettrice incallita di Gothic fiction e come su questo ruoti l’intero romanzo. Ebbene, oltre a non essere capace di riconoscere i veri amici, Catherine è talmente assorbita dalla prosa di Anne Radcliffe che finirà per rimanere vittima suggestionata della sua stessa immaginazione.

«With all the chances against her of house, hall, place, park, court, and cottage, Northanger turned up an abbey, and she was to be its inhabitant. Its long, damp passages, its narrow cells and ruined chapel, were to be within her daily reach, and she could not entirely subdue the hope of some traditional legends, some awful memorials of an injured and ill-fated nun.»

Questi sono i pensieri di una donna che interpreta la realtà secondo i canoni della finzione e, nel far questo, è inevitabilmente tratta in errore, vedendo trame oscure dipanarsi all’interno della abbazia dei Tilney (sì, quella del titolo!). In questo senso, Northanger Abbey si presenta come una cautionary tale contro i pericoli di una cattiva interpretazione, e il suo titolo, scelto dal fratello di Jane, Henry Austen, acquisisce finalmente senso: Northanger Abbey sarebbe il titolo del romanzo (rigorosamente gotico) che Catherine ha creato per sé e in cui Henry Tilney è il fascinoso eroe dal passato oscuro, suo padre, Mr Tilney, è il (presunto) tirannico villain e lei, com’è giusto che sia, è l’innocente protagonista.

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