OPINIONISTA
LOL – Anche Shakespeare scriveva cinepanettoni

LOL – Anche Shakespeare scriveva cinepanettoni

Quando sentiamo parlare di teatro, è facile che nella nostra mente si proiettino immagini d’estrema raffinatezza: tendoni rossi che fanno accedere l’occhio dello spettatore ad un palcoscenico stuccato in oro, attori e attrici di brillante talento, vestiti mozzafiato, testi altisonanti che difficilmente riusciremmo a capire senza un libretto sotto mano. E se vi dicessi che Shakespeare non ha mai partecipato a nulla di tutto ciò? In realtà questa immagine è strettamente collegata ad un tipo ben preciso di teatro, ovvero il teatro classico all’italiana o alla francese, il quale si è sviluppato ed ha raggiunto il resto d’Europa solo intorno alla seconda metà del Seicento. Ma oggi non voglio annoiarvi con spiegazioni sull’aristocratica conformazione del teatro classicista, ma su una forma di teatro ben più particolare, che ha come elementi portanti la varietà del suo pubblico, la professionalità dei suoi attori, la conformazione sgangherata dei suoi palchi e… la litigiosità dei suoi drammaturghi! Sto parlando del teatro elisabettiano.

Il teatro elisabettiano non era posto per mammolette

Al contrario del teatro classico all’italiana, il teatro elisabettiano si sviluppa con la volontà di accogliere al suo interno il più disparato tipo di pubblico. Fino al 1576 in Inghilterra non esistevano teatri stabili: le rappresentazioni teatrali venivano svolte nelle piazze da artigiani, attori non professionisti, che si spostavano in modo itinerante per i paesi delle province inglesi. I loro “palcoscenici” erano delle botti allineate con sopra una tavola di legno, le quali potevano poi essere smantellate e fatte rotolare via verso il prossimo spettacolo. Quindi, in Inghilterra, alle origini medievali, il teatro rappresentava una forma di intrattenimento dedicato alle classi più basse della società. 

Tutto è destinato a cambiare con l’emergere di una figura fondamentale, che potremmo identificare come il vero e proprio fondatore del teatro elisabettiano per come lo conosciamo oggi: James Burbage. Attore e azionista, nel 1576 Burbage costruì nei quartieri  malfamati, posti fuori dalle mura di Londra, il primo teatro pubblico stabile: The Theatre. Circondato da bordelli e osterie, il teatro costituiva in una costruzione in legno su più livelli, senza tetto, con un palco nel mezzo e tribune a balconate tutt’intorno. Inizialmente non vi era prevista solo la rappresentazione di spettacoli teatrali (che, anzi, erano la minima parte dell’intrattenimento), ma scontri tra animali e spettacoli di lotta. L’aria cambiò nel momento in cui Burbage si rese conto che il popolo inglese amava andare a teatro ad osservare le storie rappresentate dalle compagnie d’attori (ancora non professioniste) e che sarebbe stata disposta a pagare anche solo per quel tipo di divertimento. Questo è il primo lampo di genio che portò il Theatre a diventare un teatro pubblico in piena regola, dove venivano rappresentati solo spettacoli drammatici.   

Cerchiamo un momento di calarci nell’atmosfera che si doveva respirare all’interno di un teatro pubblico in epoca elisabettiana. Siamo una coppia di amici appena usciti da un’osteria, dove abbiamo alzato parecchio il gomito e magari abbiamo anche fatto una capatina in una casa di piacere. Ci resta qualche spiccio in tasca e, tronfi e barcollanti, decidiamo di andare a vedere uno spettacolo teatrale. Prendiamo i nostri posti, in piedi, in platea, sotto il cielo nudo. Se viene a piovere l’acqua ce la becchiamo tutta noi!, non come borghesi e aristocratici che se ne stanno comodamente sui palchi riparati. Secondo voi, io e il mio amico alticcio, abbiamo voglia di sentire per due ore una raffinatissima commedia, piena di filosofia ed alta poetica? 

Il grandissimo pregio che va riconosciuto ai drammaturghi elisabettiani è proprio questo: riuscire a condensare in un’opera lati di altissima filosofia e di magnifico impatto poetico e lati di bassissima scurrilità. Shakespeare, a questo riguardo, era un vero e proprio maestro! Se dell’Amleto conosciamo tutti lo strepitoso monologo “To be or not to be”, in cui il protagonista intesse una vera e propria massima filosofica sulla morte che ancora oggi recitiamo a memoria, è bene sapere che l’Amleto è anche pieno di battute a sfondo sessuale, intrighi di corte, parolacce e insulti di ogni sorta, duelli di spada e avvelenamenti! Insomma, il teatro elisabettiano non era affatto luogo per deboli di cuore e di stomaco, poiché non esiste spettacolo privo di personaggi scurrili, spargimenti di sangue e allusioni sessuali (anche parecchio spinte, per l’epoca). 

Shakespeare e la lingua scostumata di Mercuzio

Mercuzio: Sei un amante, prendi in prestito le ali di Cupido e con esse vola oltre ogni normale limite.

Romeo: Mi ha ferito troppo gravemente la sua freccia perché possa alzarmi sulle sue piume leggere, e così, limitato, non posso saltare oltre l’altezza d’un ottusa pena d’amore. Schiacciato dal pesante fardello dell’amore, affondo.

Mercuzio: Come? Per affondare nell’amore dovresti schiacciarlo. Saresti un peso troppo grosso per una cosa così tenera.

Romeo: E’ cosa tenera l’amore? E’ duro, rozzo, villano, prepotente, capace di pungere come una spina. 

Mercuzio: Se l’amore è duro con te, tu sii duro con l’amore. Rendigli puntura per puntura, e vedrai come s’affloscerà.

Facciamo un esempio pratico! Romeo e Giulietta è conosciuta per essere una delle tragedie più smielate e deprimenti della bibliografia shakespeariana. Ma ricordiamo che questi drammi dovevano essere innanzitutto approvati da una compagnia di attori e di azionisti! Prima di portare in scena un’opera bisognava esser certi che sarebbe piaciuta, che avrebbe portato pubblico. Romeo e Giulietta, come tutte le altre opere di Shakespeare, non si limita ad essere un meraviglioso tributo all’amore cortese, ma intesse nel testo un groviglio di fili che potremmo chiamare con vari nomi: erotismo, morte, sessualità, sfiga, violenza. La tragedia dei due amanti, infatti, molti non sanno che per la sua prima metà (fino al III Atto) è in realtà una commedia in piena regola, dove sul palcoscenico non mancano oscenità di ogni sorta. Mercuzio è l’emblema del lato comico di questo dramma: la sua lingua affilata diverte il pubblico di ieri e di oggi con battute sagaci, giochi di parole e allusioni sessuali che riescono a strappare una risata persino a me, che mi sono ritrovata a leggere l’opera in piena sessione universitaria! E vi assicuro che non mi ha mai annoiata, neanche una pagina. 

Benvolio: Se ti sente lo farai arrabbiare.

Mercuzio: Non può arrabbiarsi per quello che dico. Avrebbe ragione se nel centro della sua amata facessi drizzare un qualche spirito estraneo, e lì lo lasciassi eretto finché lei l’avesse sfinito ed esorcizzato, sgonfiandolo. Allora potrebbe lamentarsi, non per la mia evocazione, che è onesta e leale: ho invocato la sua donna, è vero, ma per costringere lui a tirar fuori la testa.

Benvolio: Vieni, si deve essere nascosto tra quegli alberi per unirsi all’umida notte. Il suo amore è cieco, gli si addice l’oscurità. 

Mercuzio: Se l’amore è cieco, non arriverà mai a bersaglio. Romeo sarà seduto sotto un nespolo, a sognare che la sua bella gli dia quel frutto che le fanciulle quando sole ridono tra loro chiamano nespola: oh, Romeo, fosse lei una nespola aperta e tu il suo cetriolo! 

Il teatro elisabettiano e la zizzania tra i suoi protagonisti

Se tra i personaggi dei drammi elisabettiani non mancavano scontri e antipatie, valeva altrettanto per i loro scrittori. Il sistema drammaturgico elisabettiano era assai particolare e per capire gli asti tra i suoi protagonisti è necessario inquadrarlo. Innanzitutto c’è da dire che non esisteva il diritto d’autore: i testi dei drammi non erano mai di proprietà di chi li scriveva (anche perché era raro che solo una penna vi avesse messo mano, visto che solitamente la stesura di un copione era un lavoro collettivo) ma erano invece di proprietà delle compagnie, che potevano farci quello che volevano. Perciò, facendo un esempio pratico, un testo scritto da Marlowe dopo dieci anni dalla sua prima rappresentazione poteva essere venduto ad un’altra compagnia o messo in mano ad un altro drammaturgo perché venisse rimodernato. Nessuno dei drammi shakespeariani proviene direttamente dalla mente di Shakespeare: Romeo e Giulietta è tratto interamente da un’opera novellistica di Arthur Brooke, l’Amleto proviene da una tragedia di vendetta di un certo Thomas Kyd. Anche il Faust di Marlowe probabilmente si sviluppa su un antico racconto tradotto per la prima volta in inglese nel 1592.  

Anche Shakespeare ha subito uno shit storm

Questa totale libertà sui testi portava ad un continuo cambiamento di rotta delle “mode” del teatro elisabettiano, che, a seconda delle decadi, preferiva uno stile piuttosto che un altro, una compagnia d’attori invece d’un altra. Di questo ricambio continuo del panorama teatrale elisabettiano ce ne parla Robert Greene nel suo Un soldo di senno al prezzo di un salatissimo pentimento, ultimo dramma del drammaturgo. L’opera, anch’essa molto divertente da leggere, parla di due fratelli, uno studioso e laureato a Cambridge di nome Roberto e l’altro analfabeta e furbacchione di nome Lucanio. Alla morte del padre, strozzino di professione che disprezza la cultura, tutta l’eredità di famiglia viene lasciata a Lucanio, mentre allo studioso Roberto rimane solo un soldo con cui il padre gli consiglia di acquistare un po’ di senno. Dopo un fallito tentativo di derubare il fratello delle sue fortune ereditate, Roberto, pseudonimo di Robert Greene, finirà in totale povertà. A quel punto a lui si avvicinerà un attore in cerca di drammaturghi per la sua compagnia che, lodando Roberto per le sue qualità accademiche, lo inviterà a scrivere per lui. Alla fine del dramma, Robert Greene si toglie la maschera di “Roberto” e conduce abilmente un’invettiva contro tutti quei “nuovi attori” provenienti dalla campagna, privi di un’istruzione, che gli hanno soffiato il posto solo perché lui, ormai, era passato di moda. Tra questi nuovi attori è identificabile anche la figura di Shakespeare. I critici e gli studiosi si sono infatti lasciati suggestionare da un famosissimo passo tratto da Un soldo di senno che sembra prendere di mira direttamente Shakespeare e la sua attività di drammaturgo a Londra: 

«Sì, non fidatevene, perché c’è un corbaccio rampante abbellito con le nostre piume, che con il suo “cuore di tigre avvolto in una pelle d’attore” presume di essere altrettanto capace quanto il migliore di voi di infarcire versi sciolti, ed essendo un factotum senza pari si ritiene nella sua presunzione l’unico Scuoti-scena del paese…»

Perché leggere le opere del teatro elisabettiano?

La stagione del teatro elisabettiano è affascinante sotto molteplici punti di vista. Innanzitutto è unica nel suo genere, poiché iniziò nel 1576 e terminò intorno al 1642, nel momento in cui l’Inghilterra venne spogliata della monarchia per attraversare un breve periodo repubblicano sotto l’influenza di alcuni estremisti puritani. Il governo puritano fece chiudere tutti i teatri pubblici e bruciò moltissimi dei testi drammaturgici partoriti in quegli ottant’anni. Con il suo crollo e il ritorno della monarchia con Carlo II nel 1660, rimasto in esilio a Parigi, nulla di tutto ciò venne riesumato. Di formazione francese, Carlo II istituì nuovamente l’attività teatrale, che, tuttavia, prese l’impronta classicista francese, abbandonando gli stilemi e le tecniche rivoluzionarie che avevano fatto da padrone fino a quel momento. 

Leggere oggi la poetica elisabettiana circoscritta all’ambito teatrale significa indagare una realtà più unica che rara, irripetibile e inarrivabile sotto moltissimi aspetti. Se uno dei vostri propositi è quello di avvicinarvi alla letteratura classica ma “temete” che questa possa annoiarvi, allora vi consiglio spassionatamente di tentare con un testo di questo grandioso periodo storico della Letteratura. Vi assicuro che ce n’è per tutti i gusti! Vi piacciono le storie di fate e folletti, piene di equivoci e di una divertentissima storia d’amore che riprende (so che stenterete a crederci) la dinamica “hate to love”? Allora Sogno di una notte di mezza estate è quello che fa per voi. Amate i drammi familiari, i personaggi grigi e affascinanti, gli ambienti di corte e le macabre ambientazioni dei romanzi gotici? Tentate una lettura dell’Amleto e non resterete delusi. Oppure preferite le commedie dell’assurdo dal finale tragico, dove si intrecciano esoterismo e mitologia biblica? La tragica storia del Dottor Faust è il testo che non sapevate di voler leggere. Se poi dovesse andarvi di compiere un passetto ulteriore, vi consiglio spassionatamente di leggere le prefazioni delle varie edizioni che vi ho lasciato sparse per l’articolo. Spesso tendiamo a saltare le prefazioni dei classici, gettandoci subito nell’opera: invece quelle spiegazioni preliminari sono fondamentali perché ci aiutano a comprendere la mentalità con cui dovremmo leggere determinate opere (ovvero non la nostra, ma quella di un elisabettiano). Inoltre sono piene di curiosità editoriali riguardo il testo originale (sempre molto rocambolesche quando si parla di teatro elisabettiano), chicche sugli autori misteriosissimi di quel periodo e approfondimenti su tematiche, metafore e tecnicismi letterari legati al testo. 

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