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Review Party: Lapvona di Ottessa Moshfegh

Review Party: Lapvona di Ottessa Moshfegh

Ottessa Moshfegh nasce nel 1981a Boston da padre iraniano e madre croata e rappresenta un’enfant prodige della letteratura americana contemporanea. Ha scritto diversi racconti, ma la sua opera più nota è Il mio anno di riposo e oblio, pubblicato in Italia dalla Feltrinelli nel 2019. Nel romanzo, lungo poco più di duecento pagine, Moshfegh dipinge una New York surreale in cui l’anonima protagonista decide di dare una svolta a un’esistenza senza senso attraverso i sonniferi. Quello che spera di ottenere è proprio di azzerare la propria individualità al fine di mescolarsi nella folla di persone anonime che camminano per la metropoli.

Se Moshfegh aveva spiazzato tutti con Il mio anno di riposo e oblio, sia per l’originalità della storia sia per il suo stile così particolarmente intenso, in Lapvona porta alle estreme conseguenze il senso del grottesco, riempiendolo di significati oscuri e perturbanti. 

La trama di Lapvona

“Ma alla fine la terra si ammorbidì e la pioggia si tramutò in foschia, e poi arrivò la nebbia, come se Dio si stesse coprendo gli occhi mentre gli abitanti del villaggio – profondamente cambiati dagli orrori della siccità e della carestia – si scrollavano di dosso i loro peccati…”

La storia si svolge nel corso di un anno nel villaggio medievale di Lapvona, un luogo povero e timorato di Dio abitato da famiglie umili di contadini, le cui risorse vengono prosciugate dal ricco signore feudale che possiede queste terre, Villiam. Il racconto segue la storia di diversi personaggi, tutti legati tra loro.

Marek, figlio deforme e maltrattato di un pecoraio, non ha mai conosciuto sua madre, che il padre gli dice essere morta dandolo alla luce. L’unica forma di affetto e calore domestico che Marek conosce è rappresentata da Ina, la levatrice del villaggio, ormai un’anziana cieca senza più latte nei seni. Ina ha allattato tutti i bambini di Lapvona, anche quelli che ormai sono anziani come lei, ma le sue doti vanno oltre quelle di semplice levatrice. La donna, infatti, possiede la capacità di comunicare con la natura e trarre preziosi insegnamenti da essa, fatto che rende diffidente il popolo di Lapvona, che vive nel timore dell’ira divina.

Per la gente di Lapvona, la casa di Ina rappresenta un luogo ormai dimenticato da Dio e non si accorge che, in realtà, Dio sembra essersi dimenticato dell’intero villaggio, che patisce la fame, la scarsità dei raccolti e la siccità. Questo esasperato bisogno del popolo di credere che possa porre rimedio a questa vita di privazioni e sofferenze è messo a dura prova da Villiam e dal sacerdote, che anziché tenere la messa si mostra più preoccupato a intrattenere il ricco padrone. Villiam, invece, manda periodicamente banditi a saccheggiare il villaggio, in modo che il popolo viva nel terrore e si affidi alla protezione di un signore che non hanno nemmeno mai visto.

La morte del figlio di Villiam, Jacob, appena quattordicenne, segna il punto di rottura di un equilibrio che mostrava segni di cedimento già da un po’. Stregoneria, istinti predatori, isterismo, sete di vendetta, un villaggio che sprofonda nell’abisso della perversione per non tornare più indietro.

TRIGGER WARNINGS

  • Violenza sessuale
  • Cannibalismo 
  • Sesso esplicito 
  • Omicidio 

Lapvona: critica feroce al fanatismo religioso o pura esaltazione del lato più grottesco dell’uomo?

“Forse è un vero miracolo quando Dio esercita giustizia anche senza che nessun essere umano muova un dito. O forse è semplicemente destino. Sembra tutto sensato, a posteriori. Giusto o sbagliato, ognuno penserà ciò che ha bisogno di pensare per tirare avanti. Quindi, trovate voi un senso a quel che successe…”

È chiaro che con Lapvona Moshfegh non intendesse limitarsi a scrivere un semplice romanzo storico ricco di nozioni culturali su un periodo controverso come il Medioevo, che fa da sfondo a un esercizio di scrittura ben più complesso. Il tempo è scandito dal susseguirsi delle stagioni, in un climax in cui Lapvona da piccolo villaggio diventa il luogo in cui si concentrano e si esaltano tutti i grandi cancri dell’umanità: corruzione, avidità, fede, ipocrisia, lussuria, violenza psicologica e carnale. La prima impressione è che con Lapvona Moshfegh abbia voluto concentrarsi sulla critica al fanatismo religioso di cui tanto si discute quando si parla di questo particolare periodo storico.

“Marek era preoccupato che suo padre non andasse in paradiso. Era un uomo brusco. E quando pregava, Marek aveva l’impressione che trasudasse rabbia, che la crudeltà che si portava dentro fuoriuscisse come vapore. Non era un uomo malvagio. Ma la fede di Jude era una specie di impulso violento e non c’era niente dell’amore e della serenità che secondo Marek doveva avere.”

Pieter Bruegel il Vecchio – Trionfo della morte.

Lapvona è un villaggio abitato da un popolo bigotto schiavo di preconcetti religiosi che nemmeno il parroco pare seguire. Non mangiano carne, invocano Dio più di una volta al giorno, sono diffidenti nei confronti di una levatrice cieca che pratica la medicina delle erbe e degli unguenti. Ed è questo stesso atteggiamento estremista che impedisce loro di reagire di fronte a un periodo di penuria alimentare che mette l’intero villaggio in ginocchio. L’unico a godere ancora dei frutti della terra è il castello in cui Villiam si è rinchiuso, castello in cui regna la totale assenza di pudore al fine di far divertire il signore che lo governa. 

L’assenza di cibo e acqua, a lungo andare, causerà il diffondersi di un’isteria generale che risveglierà gli istinti predatori degli abitanti del villaggio, che giungeranno persino a mangiarsi tra loro. Ma è dal momento della morte di Jacob che la critica al fanatismo religioso lascia spazio a un’esaltazione del grottesco che fa accapponare la pelle e che fa pensare a un’altra interpretazione dell’opera. Con queste scene particolarmente cruente, come la scena in cui Jude immagina di stuprare Agata, che aveva tenuto come schiava sessuale fino alla nascita di Marek, legata in modo che non potesse fuggire, ritengo che Moshfegh voglia andare oltre la mera critica sociale.

L’impressione che mi ha dato questa lettura è che il romanzo sia rivolto proprio a quei lettori che sono affascinati da tutto ciò che è macabro, perverso, orrido e grottesco: infondo tutti questi elementi sono stati portati all’esasperazione in una sorta di parodia in cui gli eventi raccontati sono troppo violenti per essere divertenti ma anche troppo assurdi per far pensare a un messaggio altro da parte dell’autrice. Penso proprio che il punto forte di Lapvona sia questa ambiguità insita nelle molteplici interpretazioni che si possono fare su la storia che racconta.  

Racconto di Ugolino, Giavanni Stradano, tratto da la Divina Commedia di Dante Alighieri, Canto 33.

Un'autrice da leggere con alcune precauzioni

“«Non preoccuparti» disse Marek. «La morte non è la fine. Andrai in cielo. Cosa sono gli uccelli se non angeli? Non dovrai più camminare tra i mostri. È molto meglio lassù. Vedrai. Sarai libero e felice, e canterai.»”

Se ancora non conoscevate l’autrice, vi invito a recuperare i suoi particolarissimi libri, ma, allo stesso tempo, mi raccomando di leggere i trigger warnings che potreste riscontrare nelle pagine, prima di decidere se è una lettura che fa al caso vostro. Stiamo parlando di descrizioni di fatti particolarmente crudi e violenti, che non sono per tutti, quindi vi invito a seguire il mio consiglio prima di intraprendere la lettura.

Ringrazio EvaLuna (@unalibraiaincorsia su ig) per aver organizzato il Review Party e la Feltrinelli per la copia del libro.

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