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Daisy Jones & The Six: un buco nell’acqua?

Daisy Jones & The Six: un buco nell’acqua?

Il 5 marzo del 2019 la casa editrice Sperling & Kupfer ha portato in Italia il romanzo dell’autrice Taylor Jenkins Reid Daisy Jones & The Six. L’autrice, conosciutissima anche per il suo I sette mariti di Evelyn Hugo, struttura questo libro come un’intervista intima e approfondita ai membri della band Daisy Jones & The Six, che negli anni ’70 facevano furore sui palcoscenici d’America. Attraverso un’attenta finzione scenica, Reid si prefigge di narrare l’ascesa e la decadenza di un gruppo rock, trasponendo nei suoi personaggi il detto “sesso, droga e rock ‘n’ roll”, come se essi stessi lo incarnassero in tutto e per tutto. Il 3 marzo del 2023 Amazon Prime Video offre la possibilità ai suoi abbonati di vedere sullo schermo la storia dei The Six e della fascinosa Daisy Jones. Un trailer scoppiettante ci ha lasciato sognare con la sua estetica vintage e scatenata, ma avrà saputo la serie TV migliorare alcuni aspetti problematici del libro? Oppure Daisy Jones & The Six si dimostra in tutto e per tutto un enorme buco nell’acqua?

Partiamo dall'origine: Daisy Jones & The Six, il libro (NO SPOILER)

Mi sono presa il tempo necessario per leggere Daisy Jones & The Six e, una volta terminato il romanzo, mi sono gettata sulla serie TV. La mia intenzione era quella di capire se gli sceneggiatori della serie si fossero resi conto dei problemi del libro e li avessero saputi gestire in maniera diversa. La risposta è stata negativa, ma ciò è comprensibilissimo, poiché le questioni spinose di Daisy Jones & The Six non sono contorni da smussare, ma la vera e propria struttura dell’opera. 

Penso che devi avere fiducia nelle persone prima che se la guadagnino. Altrimenti non è fede, giusto?”

E io di fede in questo libro ne ho messa fin troppa! Abbiamo detto che Daisy Jones & The Six si presenta come un’intervista ai membri di questa strabiliante band rock degli anni ’70 (non esistita veramente) e a tutte le persone che vi hanno girato attorno durante il suo breve ma stellare periodo di gloria. I personaggi che compaiono più di frequente con le loro dichiarazioni sono Graham Dunne (chitarra solista), Warren Rhodes (batteria), Karen “Karen” (tastiere), Eddie Loving (chitarra ritmica), Billy Dunne (cantante) e Daisy Jones (cantante), Camila Dunne (moglie di Billy Dunne) e Rod Reyes (manager dei The Six). Attraverso le parole di tutti questi personaggi e di altri ancora, che appaiono sporadicamente nella storia, si costruisce un racconto che ha di per sé grandi potenzialità, ma che non riesce a sfruttarle pienamente, lasciando, man mano che si prosegue con la lettura, un senso di insoddisfazione negli occhi di chi legge.

Partiamo dalla problematica secondo me alla base del romanzo: il tipo di stile di scrittura scelto. L’idea di indagare il passato di una band rock attraverso la forma di intervista è di per sé buona. Abbiamo visto funzionare questo metodo narrativo nel famosissimo Intervista col vampiro, dove un giornalista intervista un vampiro per farsi raccontare la sua storia secolare. Il punto è che in un libro come Intervista col vampiro, pieno di tematiche da affrontare, Anne Rice sceglie di adottare una scrittura prolissa, dove i capitoli si susseguono come una narrazione romanziera che non ha interruzioni. L’intervista è un pretesto, ma essa pressoché scompare nel corso del libro. Invece Reid sceglie di rendere l’intero libro uno scambio di battute, che spesso sono anche in disaccordo tra loro (come spesso accade quando due persone riportano una versione dei fatti), di per sé interessante come stile narrativo ma di certo non adatto ad una storia che butta al fuoco tantissima carne. 

Quello che affrontiamo in Daisy Jones & The Six è un contesto storico e sociale ben preciso: il mondo della musica rock negli anni ’70. Questo implica che nel romanzo si parli di droghe, dipendenze, abbandono da parte della famiglia, disturbi mentali, tradimento, messa in dubbio dei valori tradizionali, femminismo, liberazione del corpo, aborto, maternità, paternità, musica, gestione della pressione, denaro, fama. Tutti questi elementi sono racchiusi in un libro di 300 pagine che, considerando il modo in cui è scritto, potrebbero essere considerate 150 di un romanzo “comune”. Come si può pensare che tutti questi temi possano essere contenuti in una così scarsa quantità di carta? Badate bene, un libro brevissimo può essere più incisivo di un mattone da mille pagine. Ma non in questo caso, perché il tempo di descrivere approfonditamente una situazione non c’è. I componenti della band vengono lasciati a parlare del loro passato come se tutto fosse stato un “pazzerello” momento della loro vita, magari con qualche eccesso di troppo, ma dove alla fine si sono divertiti da matti. E parliamo di personaggi che, in teoria, dovrebbero aver subito il peggio del peggio: dipendenze da droghe e alcol, disintossicazione e tanto tanto altro. Può davvero essere così facile parlarne?

“Hai preso una linea grande, nera, in grassetto e l’hai resa un po’ grigia. E ora ogni volta che la attraversi di nuovo, diventa sempre più grigia finché un giorno ti guardi intorno e pensi, C’era una linea qui, una volta, credo.”

Taylor Jenkins Reid ha voluto raccontare in maniera dinamica e “contemporanea” una storia che ha troppi aspetti grigi che meritano di essere maggiormente approfonditi all’interno di un romanzo. Perché tutto in questo libro, alla fine, risulta vuoto. Passeggero. Superficiale. Non è possibile liquidare in un paio di scambi di battute la disintossicazione di un personaggio. Non basta scrivere tre frasi per far entrare il lettore all’interno di una dinamica come la scelta di abortire. Tutta questa sommarietà porta ad un risultato ben preciso: tutti i personaggi di questo libro sono dei cartonati. Sono delle splendide figurine incastonate in un album di rockstar anni Settanta. Nessuno di loro ha una vera tridimensionalità e la loro stessa storia è esattamente ciò che chi legge si aspetta. Non ci sono mai veri e propri colpi di scena. La sensazione è quella di quando ci viene raccontata una vecchia favola che prevede una principessa chiusa in una torre e un principe azzurro: senza sforzi di immaginazione, sappiamo tutti come andrà a finire. Un libro che liquida qualsiasi questione, dalla scelta di sniffare cocaina o no, da quella di crescere una famiglia o abortire, da quella di tradire la propria moglie oppure rimanerle fedele, a “Hey, è il rock ‘n’ roll, baby!”.

La bidimensionalità dei personaggi femminili di Daisy Jones & The Six (ALLARME SPOILER)

Daisy Jones & The Six potrebbe essere considerato un libro che affronta tematiche femministe? Assolutamente sì. Le affronta in modo corretto? Assolutamente no. I personaggi femminili del romanzo sono una delle cose che mi hanno fatto più arrabbiare. Perché quando ti ritrovi davanti tre personaggi così diversi tra loro e trattati in maniera così banale e frettolosa ti viene solo rabbia. Camila Dunne, la moglie di Billy Dunne, è un personaggio spesso come un foglio di carta. Una ragazza bellissima e con un bel caratterino si innamora del ragazzo fascinoso che vuole diventare una rockstar. La ragazza lascia tutto per seguire lui e la sua band alla ricerca della fama, fama che lei non condividerà mai con il resto della band. La ragazza rimane incinta, sposa la rockstar, ma il giorno dopo il loro matrimonio la rockstar parte per il suo primo tour, lasciandola da sola. Ma a lei va bene, perché ha scelto di stare con un figlio del rock ‘n roll! La ragazza partorisce da sola dopo aver scoperto che il marito è entrato nella dipendenza da droga e alcol, tradendola ripetutamente. Ma lei lo perdona. Lei lo perdona sempre. Nonostante la rockstar sia un vero stronzo (pardon). Questa parabola non ci racconta nulla, tranne che di una donna nata per essere una madre e una moglie, quindi disposta a sopportare qualunque cosa faccia il marito. L’amore trionfa su ogni difficoltà?  Forse sì, ma di certo questo trionfo non può essere raccontato in qualche riga.

“Non mi sembrava giusto che il suo io più debole decidesse come sarebbe andata a finire la mia vita, come sarebbe stata la mia famiglia. Devo deciderlo. E quello che volevo era una vita – una famiglia, un bel matrimonio, una casa – con lui. Con l’uomo che sapevo fosse veramente. E stavo per prenderlo, inferno o acqua alta.”

Veniamo a Karen, tastierista della band. Karen viene presentata come una donna forte e indipendente, la cui unica aspirazione è quella di diventare un personaggio famoso all’interno dell’industria musicale. La tipica donna che vive per la propria carriera e che al di fuori di questa non vuole nient’altro, né una relazione stabile, né una famiglia. Nulla di male in questo, peccato che ci ritroviamo di nuovo di fronte un personaggio che frettolosamente incarna un tipo di femminilità che ha davvero poco da raccontarci. Ci offre un modello non convenzionale di donna, ma lo fa con piattume, come se l’autrice avesse assolto il suo compitino. Vi ho mostrato una donna che vive per la sua famiglia e per suo marito, ora vi mostro una donna che non ne vuole neanche sapere. Entrambe figure profonde quanto la scritta “pensati libera” sfoggiata da Chiara Ferragni a Sanremo.  

E poi c’è Daisy Jones. Incarnazione della retorica femminista, Daisy è forse il personaggio più difficile da inquadrare. Una donna tremendamente sola, afflitta da dipendenze gravi, con un talento speciale per la musica. Daisy ci viene presentata come un’anima libera, la quinta essenza del rock: il suo corpo è suo e nessuno decide come trattarlo, la sua dipendenza da alcol e pillole è ingestibile, il suo carattere un uragano che se ne frega di chiunque abbia attorno, una belva da palcoscenico. Tutte queste caratteristiche, purtroppo, vengono ridotte a una caricatura di un personaggio complesso, il quale risulta estremamente semplificato. La psicologia di Daisy Jones ci è chiara a tutti e tutti noi, dalle prime pagine, sappiamo già dove la sua storia andrà a parare. Nulla di lei ci sorprende, ogni suo passo è prevedibile. E questa non so se chiamarla pigrizia o mancanza di coraggio.

“Non avevo assolutamente alcun interesse ad essere la musa di qualcun altro.
Non sono una musa.
Io sono quel qualcuno.
Fine della fottuta storia.”

Una controparte maschile all'altezza di quella femminile

In Daisy Jones & The Six i danni non si limitano solo ai personaggi femminili. Anzi. I componenti maschili della band o sono completamente assenti, come Warren, o pigramente stereotipati, come Eddie, il tipico soggetto interno alla band che prova invidia nei confronti del front man e la esprime con frecciatine e musi infantili. Il rapporto tra Graham e Billy, fratelli in teoria uniti dalla mancanza di un padre, è pressoché inesistente, a mala pena si parlano e quando lo fanno notiamo una relazione tra loro in cui Graham, fratello minore, è completamente subordinato a Billy, fratello maggiore, nonché fascinoso “capobranco”. 

Ma il peggio lo rappresenta proprio Billy, l’ennesimo personaggio sbagliato che viene costantemente romanticizzato. Billy Dunne è un uomo maledetto, che viene divorato dalle dipendenze per poi uscirne con fatica. Tradisce sua moglie nel suo periodo più buio, per poi affrontare una redenzione che viene improvvisamente sconvolta da Daisy, donna che lui tratta con disprezzo e giudica per i suoi eccessi (sorpresa sorpresa: lei si innamorerà di lui, e lo capirete dopo la loro prima conversazione). Con il resto della band Billy non si comporta come un leader, ma come un “capo d’azienda”: è lui che canta, è lui che scrive i testi delle canzoni e le parti musicali, è lui l’immagine del gruppo e tutti gli altri componenti della band sono operai sostituibili. Billy è ossessionato dal controllo e crea all’interno della band nessun tipo di sintonia. Questo aspetto viene sottolineato solo tramite piccole lamentele di Eddie, che in realtà si lamenta per qualsiasi cosa, quindi neanche vi prestiamo molta attenzione. Billy è il tipico personaggio che meriterebbe per tutto il corso della lettura una miriade di porte sbattute in faccia, ma in realtà di fronte a lui si spalancano solo portoni: perché è troppo bravo per essere mandato a quel paese dalla band, perché è troppo amato dalla moglie (il perché non si capisce nel libro, visto che vivono praticamente separati) per essere lasciato, perché scrive canzoni troppo profonde per essere evitato da Daisy. In conclusione, quel personaggio che ci viene ostinatamente presentato come l’eroe, quando in realtà è la ragione per cui tutto nel libro va a rotoli senza che nessuno faccia nulla per evitarlo.

Daisy Jones & The Six: la serie TV

Abbiamo ampiamente potuto notare come i problemi della storia di Daisy Jones & The Six siano strutturali, perciò una sceneggiatura televisiva per risolverli avrebbe dovuto stravolgere completamente l’opera originale, e non sarebbe stato neanche giusto. Cosa vi troverete davanti quando premerete play? Una serie TV godibile, visivamente piacevole, piena di vibes in stile Pinterest e con una colonna sonora originale carina (ma assolutamente non rock). I problemi maggiori che ho riscontrato durante la visione sono: uno strano connubio tra lentezza delle puntate ed inspiegabile frettolosità della narrazione (la serie si dilunga su passaggi meno importanti per poi far scorrere in un secondo quelli salienti, esattamente come fa il libro), un doppiaggio in italiano leggermente cringe (guardatela in lingua originale, se siete ancora in tempo). 

Tiriamo le somme

Daisy Jones & The Six per me è stato un libro deludente. Non brutto. Deludente. Mi aspettavo una storia vera, calata in un contesto sociale e culturale ben preciso, un po’ eccessiva, proprio come il rock. Invece ho letto una storia fittizia, calata in un contesto “instagrammabile” e con pochissimo da raccontare (tranne che si faceva tantissimo sesso e che la carriera da spacciatore andava alla grande), che riusciva ad intiepidire qualsiasi emozione forte per colpa della bestia della superficialità, e nient’affatto rock. Quello che mi dispiace maggiormente è che si è scelto di portare su carta un movimento, il rock, che negli anni ’70 ha davvero contribuito a far cambiare il mondo. Il rock è innanzitutto un movimento sociale e rivoluzionario, politico, che lottava per ideali forti, come la liberazione dei corpi e la fine della guerra del Vietnam. In Daisy Jones & The Six il rock è ridotto ad uno stereotipo, a quel famoso “sesso, droga e rock ‘n’ roll” che lascia tanto, troppo, all’immaginazione e non racconta nulla che lasci veramente il segno. Un libro rock che risulta come una filastrocca canticchiata sotto la doccia: spenta e ripetitiva. 

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