BEST SELLER
Da dove sto chiamando, il racconto americano di Raymond Carver

Da dove sto chiamando, il racconto americano di Raymond Carver

Raymond Carver (1938 – 1988) fu uno scrittore, poeta e saggista statunitense. Fin dalla giovinezza, barcamenandosi tra mille impieghi differenti, mostrò grande interesse per la lettura e la scrittura distinguendosi in particolar modo per la narrativa breve. Influenzato dal realismo di Fitzgerald con Il grande Gatsby, Carver ha saputo incantare e allo stesso tempo confondere il suo pubblico con racconti taglienti e talvolta claustrofobici. 

La raccolta di racconti Da dove sto chiamando, pubblicata nel 1988, poco prima della morte dell’autore, viene definita un’auto-antologia in quanto fu proprio Carver a scegliere i 37 racconti che la compongono. Questa si inserisce appieno nel filone della narrativa contemporanea caratterizzata da una comunicazione narrativa plurivoca e multilineare, che si discosta completamente dai testi classici di metà Ottocento in cui il narratore veicolava direttamente il racconto verso il lettore. Uno dei motivi per cui dall’inizio degli anni ’90 la narrativa ha subito questa forte trasformazione va’ ricercato nell’avvento di internet che ha profondamente modificato la società a livello organizzativo e comunicativo. È dunque possibile dire che il racconto contemporaneo emula la struttura ipertestuale della rete, preferisce la connessione per link o per livelli rispetto al canonico collegamento causale. La narrativa contemporanea si propone di conseguenza come racconto del possibile, o virtuale, più che come racconto del verosimile. Si tratta di un realismo poroso, aperto, che non si basa sulla pretesa di oggettività bensì sulla presa d’atto che tale oggettività è impossibile e che, quindi, le uniche storie che si possono raccontare sono storie complicate talvolta prive di chiusura.

I racconti di Carver come istantanee di vita

Attraverso testi di cinque o trenta pagine, Carver mette in mostra l’America di provincia degli anni ‘70/’80, le coppie di mezz’età, le tensioni familiari, l’abuso di alcool e l’immancabile violenza verbale e fisica. Una delle caratteristiche spesso attribuite all’autore è il minimalismo: i suoi tanti personaggi parlano poco, conversano utilizzando un tono informale e dicono quanto basta senza lasciarsi andare a descrizioni di ambienti o digressioni psicologiche. Si tratta di storie dolorosamente normali, dai colori neutri se non sbiaditi, prive di suspence, fastidiosamente comuni e disperate che in diversi casi sembrano voler soffocare il lettore. 

“Sentivo il cuore che mi batteva. Sentivo il battito del cuore di ognuno. Sentivo il rumore umano che producevamo tutti, lì seduti, senza muoverci, nemmeno quando la stanza diventò buia.”

Un esempio lo si trova in Vicini, dove Honey e Bill Bush badano alla casa dei vicini partiti per le vacanze e un’occupazione apparentemente semplice diventa motivo di disperazione sul finale; ma anche Una cosa piccola ma buona, che racconta di come il giorno del suo compleanno il piccolo Casey Finnigan viene investito da un’auto ed entra in coma. La madre Ann viene perseguitata intanto dalle insistenti e surreali chiamate del pasticcere cui ha ordinato la torta di compleanno per la festa; infine, possiamo citare anche Con tanta di quell’acqua a due passi da casa, dove Stuart Kane e due suoi amici pescatori trovano il corpo di una ragazza morta nel fiume e lo lasciano lì per tre giorni. Saputo della vicenda, la moglie Claire resta scossa e inorridita dalla loro indifferenza.

Cattedrale e l'inattendibilità del narratore

I racconti di Carver appaiono tutti costruiti attorno a delle catastrofi tipiche del quotidiano, vicende apparentemente insignificanti che stravolgono la vita dei personaggi. Già Aristotele aveva teorizzato la catastrofe inquadrandola come un punto di svolta, un’accelerazione che modifica tutto. Tuttavia, in questa desolazione Carver sa trovare un evento illuminante, un’azione improvvisa che tira fuori i protagonisti dalla monotonia. Ne è un esempio Cattedrale, racconto pubblicato nel 1983 dove marito e moglie invitano a cena un amico cieco e l’uomo chiede al marito di aiutarlo a capire come sia fatta una cattedrale. Il discorso si fa immediatamente complesso e imbarazzante:

“Tanto per cominciare, sono altissime. […] Alcune sono così grandi che devono avere questa specie di puntelli. Questi si chiamano archi rampanti. Per qualche motivo mi fanno venire in mente dei viadotti. Ma magari tu non sai nemmeno che cosa sono i viadotti, eh?”

 L’autore sa farci immedesimare nella sensazione di disagio e impotenza, sceglie di raccontare attraverso il punto di vista del narratore in prima persona ed è così che riesce a metterne in mostra tutta la cecità spirituale. È interessante notare come durante la lettura il narratoria sia completamente inattendibile: non possiamo farci affidamento perché mosso da una profonda chiusura mentale.

“E siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo avere ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, “creature di sangue caldo e nervi”, come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita.”

Dalla narrativa al cinema: Shorts Cuts di Robert Altman

La narrativa di Carver procede per omissioni, diminuendo ciò che vuole raccontare, dando grandissima importanza ai silenzi che riescono a percepirsi tangibili e gravi. Egli agisce come un fotografo del particolare: un bicchiere sul tavolo, una bicicletta lasciata a terra, una colazione rovesciata addosso. Probabilmente fu proprio questa capacità di inquadrare i dettagli che portò il regista Robert Altman a trasformare i suoi racconti in un film. Era il 1993 quando uscì nelle sale il film Short Cuts, che in italiano è stato perfettamente tradotto in America oggi, intendendo volutamente l’America di quell’oggi da cui emerge malessere e impossibilità di evoluzione. Il titolo originale appare sulla locandina seguendo fattezze quasi spettrali, dove ogni lettera corrisponde a un personaggio: tutti quelli rappresentati saranno protagonisti e sin da subito si capisce come la narrazione sia stata pensata in maniera corale. Il film è un intarsio di storie di Carver riambientate dal nord al sud della West Coast: dai dintorni di Seattle ai sobborghi meridionali di Los Angeles, passando quindi dalla provincia settentrionale alle megalopoli del sud. Altman sceglie nove racconti e una poesia di Carver decidendo di fonderli insieme.

Il regista percepisce nelle diverse raccolte una sorta di unità vedendo in questi testi un unico grande ipertesto, come se fossero legati da un filo e nel dare voce al suo progetto cinematografico cerca di rispettare un aspetto fondamentale, ovvero la presenza di un evento in grado di stravolgere la vita ai personaggi.

Il film inizia immediatamente con una scena spaventosa dove un elicottero sorvola Los Angeles spargendo pesticida contro la mosca della frutta che attanaglia la città. Proprio mentre si sorvola la città allo spettatore vengono introdotti i personaggi immersi nella loro quotidianità che però, a differenza di quanto accade in Carver, non avranno esistenze separate. Sesso e morte saranno i fili conduttori del film e le storie appaiono legate tra di loro anche strumenti di comunicazione come la televisione. Il mezzo televisivo nella narrazione cinematografica di Altman è molto importante: sul finale, poco dopo la forte scossa di terremoto, sarà proprio la TV a farsi portavoce del bilancio dei danni. Il regista afferma inoltre si essersi preso delle libertà, i personaggi sono infatti passati da una storia all’altra creando dei collegamenti: Tess, cantante jazz, e Zoe Trainer, violoncellista, madre e figlia, sono personaggi inventati dal regista e dal co-sceneggiatore, utili a connettere diverse storie e  a fornire la colonna sonora al film. Questo, infatti, non ha musiche applicate o extradiegetiche, le uniche musiche provengono dall’interno e ci precisano come Altman lavori in direzione realistica: vuole che le storie parlino da sé senza nessun intervento esterno

 

Altro carattere fondamentale è che il titolo originale significhi “tagli brevi”, questo perché Altman ha costruito il film attraverso un montaggio rapido, passando da una storia all’altra velocemente e con inquadrature brevi in modo da poterle gestire e portarle avanti tutte insieme. In inglese americano shorts cuts ha anche il significato di scorciatoia, a rimandare all’espediente di scorciatoia narrativa utilizzato sia da Carver che dal regista di accorciare le storie il più possibile o di far succedere gli avvenimenti in maniera repentina. Shorts Cuts è proprio come un grande mosaico e, come tutta la narrativa contemporanea, non pretende di esaurire la realtà ma solo di rappresentarne la complessità, lasciando la struttura narrativa aperta. È come se il racconto cinematografico proseguisse a oltranza, come la vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *