OPINIONISTA
Shirley Jackson: l’ultima erede del romanzo gotico

Shirley Jackson: l’ultima erede del romanzo gotico

Shirley Jackson è nata a San Francisco nel 1916 e, nonostante sia stata una delle maestre della letteratura horror, per tanti anni è rimasta nell’ombra dei colleghi uomini. In Italia, in particolare, abbiamo riscoperto la penna di questa meravigliosa scrittrice grazie alla ristampa di alcuni suoi romanzi come L’incubo di Hill House, Abbiamo sempre vissuto nel castello e La lotteria dalla casa editrice AdelphiJackson è stata un’autrice molto prolifica, tanto che già a 12 anni vinse il suo primo premio letterario con il racconto The Pine Tree. Laureatasi in giornalismo nel 1940, dopo un periodo di interruzione dovuto a problemi di natura psicologica, probabilmente depressione, durante gli anni di studio fondò con il marito la rivista “The Spectre”. 

Shirley Jackson e il suo rapporto con il femminile

Appassionata attivista dei diritti civili, i suoi scritti saranno dedicati sempre alle donneTormentate dal pregiudizio e dal sospetto, le donne di Shirley Jackson sono in perenne conflitto con la società patriarcaleLa stessa autrice veniva da una storia familiare particolare che si riflette nel tormento a cui sono sottoposti i suoi personaggi. Jackson crebbe infatti in una famiglia fortemente conservatrice, dove la madre la sottoponeva a continui abusi psicologici che la portarono poi a soffrire di depressione in età adulta. La madre si oppose alla sua passione per la scrittura e ancora prima al suo matrimonio. Si può dire che l’autrice visse in funzione della sua ribellione alla madre, tanto da sposare un intellettuale ebreo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale e a trasformare la sua casa in un vero e proprio salotto letterarioIl suo non fu un matrimonio felice: esso venne segnato da molteplici tradimenti che non fecero che peggiorare la sua salute mentale , tanto che spesso si rifugiò nell’alcol e nelle amfetamine. Tutto questo si riflette in maniera piuttosto evidente nel vissuto dei suoi personaggi.

Per tutta la vita, un po’ in senso autoironico e un po’ per anticipare ciò che la società avrebbe comunque detto di lei, si definì una stregaFiglia di un ambiente familiare conservatore e violento, Shirley Jackson si chiuderà nella scrittura e nei suoi libri ostenterà tutta la sua volontà di ribellione. Mai amata dalla madre, farà delle sue eroine i suoi doppioni letterariLe donne dei libri della Jackson sono tutte orfane di madre o figlie di madri che non saranno mai capaci di amarle, tanto da includere episodi di matricidio. Sono isolate, solitarie, spesso terrorizzate dal mondo esterno e prede inermi di disturbi psicologiciSono donne prive di identità o con un’identità frammentata, tormentate da una fortissima ansia. La stessa autrice definì i suoi scritti un “documentario sull’ansia”. Questi elementi distintivi sono rintracciabili in molte delle sue storie brevi, come Pillar of Salt, The Tooth e La Lotteria, ma è soprattutto nei suoi romanzi che questa condizione diventa pregnante.

La dimensione psicologica nei suoi romanzi

Nel romanzo Lizzie, titolo originale The bird’s nest, la protagonista, Elizabeth Richmond, soffre di disturbo dissociativo d’identità. La malattia mentale, che ha creato le altre personalità che chiama Beth, Betsy e Bess, l’ha portata al totale isolamento da amici e familiari. 

Nel romanzo L’incubo di Hill House, pubblicato nel 1959 e il cui successo ha dato poi origine alla serie TV targata Netflix, Eleanor Vance si unisce a un progetto di ricerca su Hill House, un grande maniero noto per essere infestato. Eleanor accetta di partecipare alla ricerca nel tentativo di sfuggire a una vita che non la soddisfa e che l’ha fatta ormai cadere preda della malinconia. Anche in questo caso, la casa diventa quasi l’antagonista. È una casa dotata di poteri sovrannaturali, che manipola la protagonista fino a sottometterla e infine a ucciderla. La casa diventa emblema della fitta trama di aspettative e obblighi femminili da cui Eleanor sembra essere tormentata e da cui, di fatto, non riuscirà a fuggire.

Abbiamo sempre vissuto nel castello, titolo originale We have always lived in the castle, pubblicato per la prima volta nel 1962, è l’ultimo romanzo dell’autrice. La storia ruota attorno al concetto di casa e alla sua incapacità di proteggere chi ci abita. Le protagoniste del romanzo sono le sorelle Blackwood, che abitano a casa Blackwood insieme allo zio, costretto sulla sedia a rotelle. La loro routine quotidiana, dedicata alla cura della casa, del giardino e dello zio invalido, viene improvvisamente spezzata dall’arrivo del cugino Charles, che costringe le due sorelle a riprende i contatti con la realtà al di fuori del castello. Tutto è collegato ai fatti accaduti sei anni prima, quando tutti i membri della famiglia Blackwood muoiono avvelenati durante un pranzo. Gli abitanti del paese sembra abbiano trovato in Mary Katherine, chiamata affettuosamente “Merricat” dalla sorella Constance, il mostro responsabile della morte dei suoi stessi familiari. Il male che si annida a casa Blackwood in realtà è un male che non alza la voce, ma è folle nella sua ordinarietà. 

“A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”: Così scriveva Stephen King nella prefazione del suo romanzo L’incendiaria del 1980. La dedica del maestro del brivido a Shirley Jackson rende proprio l’essenza dell’horror dell’autrice. L’orrendo non ha necessariamente di sangue che scorre a fiumi o di cadaveri ammassati, ma può concentrarsi in poche pagine, nella descrizione quasi claustrofobica degli ambienti e in personaggi affetti da disturbi reali o immaginari, narratori bugiardi, cittadini ossessionati dal mostro.

La poetica di Shirley Jackson: le parole chiave

Come abbiamo anticipato, i romanzi della Jackson, che fu una scrittrice molto prolifica, sono attraversati da dei precisi fils rougesLa famiglia e la casa sono due presente ingombranti nella vita dell’autrice quanto in quella delle donne dei suoi libri. La casa non è mai una semplice abitazione, ma è qualcosa di vivo, pulsante, oscuro e inquietante, che assume quasi le sembianze di un vero e proprio personaggio. L’importanza data alla casa potrebbe spiegarsi sia con il fatto che l’autrice proveniva da una famiglia di architetti e quindi potrebbe aver ereditato una certa passione verso la disciplina, ma soprattutto perché parliamo comunque di una produzione letteraria che si colloca tra gli anni Trenta e Quaranta, anni in cui la vita della donna era di fatto limitata alle mura domestiche. 

Il perturbante è un altro concetto cardine per l’autrice. La produzione letteraria di Shirley Jackson è immersa nell’angoscia, in quella forte convinzione che la nostra tranquillità stia per essere interrotta da qualcosa di terribile. Ciò che stiamo leggendo ha qualcosa che non torna. Lo sentiamo noi, in quanto lettori, e di certo lo percepiscono anche i personaggi, costantemente intrappolati in dimore le cui pareti si fanno via via sempre più strette, tanto da non lasciare via di scampo. L’ironia è ciò che permette spesso all’autrice di alleggerire la quotidianità sofferta dei suoi personaggi e che distingue il suo stile da quello di qualsiasi altro autore del genere horror. I romanzi di Shirley Jackson sono imbevuti anche di sovrannaturale, che si manifesta spesso e volentieri sotto forma di fantasmi e poltergeist, ma la cui presenza non è mai detto in che misura sia reale o frutto della mente delle protagoniste.

Una vasta produzione letteraria: da dove cominciare a leggere Shirley Jackson?

Per approcciarsi alla scrittura di questa affascinante e autoironica autrice si può cominciare da alcuni dei suoi racconti brevi. Primo fra tutti, La Lotteria, pubblicato per la prima volta sul New Yorker nel 1948, questo racconto breve suscitò un immediato scalpore, tanto da essere definito “perverso” e “oltraggioso” da numerosi lettori della rivista. Nonostante la sua brevità, questo racconto sintetizza in maniera impeccabile alcuni dei temi più cari all’autrice: la tradizione, la disparità insita nel tessuto sociale, il bigottismo delle cittadine e dei piccoli villaggi. E poi abbiamo La Strega, una raccolta breve di quattro racconti, tre dei quali hanno come protagonisti quelle creature che l’autrice definiva “infide” e “demoniache”, ovvero i figli, avendone cresciuto lei stessa tre. Ma è nei suoi romanzi, in modo particolare L’incubo di Hill House e Abbiamo sempre vissuto nel castello che Shirley Jackson dimostra tutto il suo immenso talento e catapulta il lettore in atmosfere angoscianti, claustrofobiche e immerse nella paranoia più totalePer poter apprezzare la vasta produzione letteraria di quest’autrice non è necessario essere veterani del genere horror, quindi ritagliatevi del tempo per recuperare i lavori di una delle scrittrici più influenti della letteratura del Novecento, tanto brava da ispirare i lavori di Stephen King.

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