Blue Eye Samurai: nuovo capolavoro da mamma Netflix
A novembre 2023 approda su Netflix Blue Eye Samurai, una serie TV animata franco-statunitense creata da Michael Green e Amber Noizumi. Per ora formata da un’unica stagione di 8 episodi, Blue Eye Samurai è una delle opere più belle che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni. Anzi, bella forse non è il termine adatto: spietata, spettacolare, profonda, mostruosa. Questi aggettivi le si addicono decisamente di più. Ma non siamo qui per leggere di banali sentimentalismi! Andiamo a scoprire perché Blue Eye Samurai, secondo me, è un capolavoro.
Vendetta e intrighi di corte nel Giappone del periodo Edo
Ci troviamo nel Giappone del 1633. Il Giappone conosce in questi anni una condizione di volontario isolamento dal resto del mondo. La parola nemica per eccellenza è “Occidente”: gli occidentali, infatti, subiscono in Giappone una violenza razziale serrata e sistematica e con essi anche i loro figli mezzosangue. Nel 1633 in Giappone sono presenti solo quattro uomini bianchi e Mizu ha giurato sulla tomba di sua madre che li avrebbe uccisi tutti. Mizu è una giovane mezzosangue: capelli corvini e occhi a mandorla, ma blu come l’oceano che separa l’Arcipelago dall’Europa. Trattata miseramente per le sue origini meticce, Mizu cresce nell’odio e nel disprezzo, con un giuramento che le rimbomba nel petto. Il suo spirito non troverà pace finché uno dei quattro uomini bianchi che l’ha potenzialmente concepita, condannandola ad un’esistenza di degrado e disonore, non sarà morto: Mizu, però, non può conoscere la sua identità, quindi deciderà di ucciderli tutti. Ma il viaggio che l’attende non è costellato di gloria e onore come quello di un samurai, bensì di dannazione e dolore, come quello di un ronin.
La spietata bellezza di Blue Eye Samurai
Se là fuori ci sono ancora persone che associano le opere di animazione all’intrattenimento per bambini, Blue Eye Samurai riuscirà a convincere anche i più scettici. Tenete alla larga gli infanti dalla vista della spietata Mizu e dalle corrotte fila di una trama che si concentra sull’esplorazione totale del tema della vendetta, della morte e del sacrificio. Blue Eye Samurai è una serie di incredibile spessore, il quale si traduce in un’animazione curata nei minimi dettagli e in una trama degna di qualsiasi premio alla miglior sceneggiatura. La storia di Mizu è costellata di pericoli, emozioni e colpi di scena che lasciano lo spettatore a bocca aperta (sì, anche chi è in grado di prevedere i plot twist da chilometri di distanza: sfido chiunque ad indovinare il finale di Blue Eye Samurai). Impossibile non innamorarsi di alcuni dei suoi personaggi; impossibile non odiarne profondamente altri. E quando una serie ti fa provare sentimenti così viscerali per i suoi protagonisti, vuol dire che ha proprio colto nel segno.
Blue Eye Samurai si pone l’obbiettivo di costruire un viaggio dell’eroe che è al contempo un viaggio attraverso un’Inferno in terra. Mizu è il nostro Dante, che discende i burroni del Tartaro, toccando con la punta della sua spada le più atroci crudeltà umane, per poi scalare con fatica la montagna del Purgatorio. Eppure, nonostante tutti i suoi sforzi, non saremo mai certi se per Mizu arriverà la salvezza. Come può esserci assoluzione in così tanta morte? In cosa consiste la reale salvezza? Nella soddisfazione del desiderio di vendetta o nella via dell’onore? Queste sono solo alcune delle domande che durante la visione di Blue Eye Samurai affolleranno la vostra mente. Imparando a conoscere un po’ della vastissima filosofia nipponica, riusciremo infine a comprendere in cosa consista davvero l’onore, cosa voglia dire essere un samurai e, forse, se sia più saggio seguire la via dei demoni piuttosto che quella dei re.
La rappresentazione del "diverso"
Alla base della storia di Mizu c’è la discriminazione e tutte le conseguenze che essa riversa sul genere umano. Cresciuta nel terrore e nell’isolamento, Mizu è costretta a portare un paio di occhiali dalle lenti scure per nascondere le sue origini meticce e a fasciarsi il petto perché nessuno scopra che lei è una donna. Misoginia e razzismo sono questioni che Blue Eye Samurai affronta con dovizia di particolari, facendoci entrare in una cultura profondamente diversa da quella occidentale ma che, sfortunatamente, presenta le stesse falle. Nel Giappone di Blue Eye Samurai le donne hanno solo due vie a disposizione: quella del matrimonio e quella della prostituzione, entrambe degnamente sviscerate lungo la narrazione. Mizu, intenzionata ad intraprendere quella del guerriero, non ha altra scelta. E percepiamo con lei durante ogni puntata il dolore di doversi nascondere: le scene terribili in cui si toglie le fasce per fare il bagno in solitudine, la repressione costante dei suoi sentimenti, l’essere considerata ovunque qualcosa di unico ed incomprensibile.
I personaggi di Blue Eye Samurai sono incredibili perché permettono allo spettatore di osservare quanto la realtà sia ipocrita e quanto gli uomini siano bravi ad ingannarsi con i loro stessi occhi. Ogni personaggio della serie, infatti, rappresenta, desidera ed incarna tutto ciò che la società invece è intenzionata a vietargli. Mizu vuole essere un guerriero, vuole combattere per riscattare l’onore di sua madre e per distruggere il seme che ha generato in lei tanta sofferenza e discriminazione. Mizu è onorevole, coraggiosa, forte: tre aggettivi opposti alla concezione della donna e della “meticcia”.
Ringo (il mio personaggio preferito, dopo Mizu) è un povero cuoco, nato senza mani e maltrattato dal padre: per tutta la vita si è sentito ripetere che non vale niente, ma il suo sogno è quello di diventare il più grande in qualcosa, non importa se quel qualcosa sia l’arte della spada o la preparazione dei noodles. Ringo è visto dalla società come deforme e povero, eppure è il personaggio più “utile” (come lui stesso ama definirsi) ed intrepido dell’intera serie. Ancora, Taigen è un samurai di grande importanza, il migliore del suo dojo, eppure tutto quello che desidera in realtà è amare sua moglie e trascorrere una vita serena, lontana dalla guerra. E infine abbiamo Akemi, figlia di un rilevante capo clan, destinata a diventare la moglie bella e silenziosa di un uomo importante, quando tutto ciò che desidera è essere libera. Akemi è forte, intelligente, una stratega nata, che tuttavia viene ingabbiata (sia metaforicamente che fisicamente) in un ruolo vuoto, impotente, da burattino, solo perché donna. Sono queste contraddizioni interne dei personaggi che fanno proseguire la trama, intrecciandosi a mano a mano, in una spirale perfettamente logica eppure sempre stupefacente ed imprevedibile.
Il viaggio del Ronin
Mizu in vari momenti della serie viene paragonata ad un ronin, termine dell’antico Giappone («uomini onda») che indica i samurai rimasti, volontariamente o meno, privi del loro signore e quindi non più soggetti agli obblighi del codice morale (bushidō) della loro casta. Il ronin è un guerriero senza onore: il samurai, infatti, durante la sua vita può essere assoggettato ad un solo un signore e, se quello viene a mancare, il samurai è tenuto alla pratica dello harakiri, letteralmente “tagliare il ventre”, che rappresenta la parte culminante della pratica del suicidio rituale denominato seppuku, che avviene per sventramento mediante l’uso di una spada corta chiamata tanto. Il samurai che non esegue il suicidio rituale perde l’onore e diventa un guerriero errante, disprezzato dagli altri samurai e, in alcune leggende, accostato alle figure demoniache.
L’immagine del ronin, affascinante di per sé, ben si accosta al personaggio di Mizu, una guerriera rifiutata e disprezzata, condannata ad un viaggio di solitudine. Una nomade alla perpetua ricerca di vendetta, la quale ha origine nel sangue e solo nel sangue può trovare una conclusione. Da questa visione deriva il tono spesso malinconico e riflessivo della serie che, pur essendo un prodotto pieno d’azione (non mancano spettacolari combattimenti, prove al limite dell’impossibile e nemici sempre più potenti da affrontare, in una dinamica di climax molto simile a quella dei videogiochi), non si tira indietro nel coinvolgere lo spettatore con riflessioni profondissime. Mizu ha la violenza e la brutalità del ronin, ma anche la sensibilità e la pietà del samurai: due lati della stessa medaglia che si sposano perfettamente nel suo personaggio, rendendolo non un fantoccio in armatura ma un animo a tutto tondo ricco di sfaccettature.
Il villain di Blue Eye Samurai e la visione dell'Occidente
Come ogni viaggio dell’eroe che si rispetti, la nostra Mizu ha bisogno di un antagonista e a ricoprire egregiamente questo ruolo nella prima stagione di Blue Eye Samurai è Abijah Fowler, doppiato in lingua originale da niente poco di meno di Kenneth Branagh. Fowler è un uomo spietato, ricco e avido, che ha a cuore solo i suoi interessi e la sofferenza del prossimo. Egli rappresenta, oltre che il nemico giurato di Mizu, anche l’Occidente all’interno del Giappone della serie TV. Infatti Fowler è uno dei quattro occidentali rimasti in Giappone nel periodo Edo, confinato in una fortezza inespugnabile, pronto a tramare contro tutti e contro tutto. Fowler rappresenta i bianchi e l’avanzamento tecnologico occidentale, che non ha posto all’interno del mondo giapponese se non come una matrice di distruzione.
Come un diavolo tentatore, Fowler, carismatico ed intelligentissimo, si è insinuato come un serpente in un Giappone governato da regole totalmente diverse da quelle del mondo occidentale, facendo leva su un vizio che, tuttavia, accomuna tutti i popoli del mondo: l’avidità. Attraverso i piani calcolatori di Fowler vediamo la storicamente accurata contrapposizione ideologica e materiale tra il popolo giapponese e quello anglosassone, definito dallo stesso Fowler come “bravissimo nell’esportazione della morte“.
ALLERTA SPOILER: tra le scene più significative della serie c’è quella in cui Fowler capeggia un esercito di soldati giapponesi che, invece di impugnare le spade, imbracciano fucili carichi, che sparano sull’esercito imperiale, armato solo di lame, senza lasciare superstiti. La guerra onorevole, la morte per mano dell’acciaio, viene così dissacrata e sostituita dal freddo metallo della canna e dal distacco della pallottola, che non riconosce nemici umani, ma solo bersagli da abbattere. Una morte a distanza che elimina qualsiasi possibilità di vittoria da parte di chi resta ancorato a concetti anti-capitalistici e anti-industrializzati come l’onore e il rispetto per il nemico.
Blue Eye Samurai è un capolavoro dell'animazione?
Come avrete intuito leggendo l’articolo, per me Blue Eye Samurai è stata un’autentica rivelazione. Una volta terminata l’ultima puntata, non vedevo l’ora di averne ancora… e fortunatamente le mie preghiere verranno esaudite, perché Mamma Netflix ha già confermato l’uscita di una seconda stagione. Se state cercando una serie adrenalinica, piena di plot twist inaspettati, commovente e sagace, che vi farà innamorare di ogni suo personaggio, Blue Eye Samurai è lì che vi aspetta stasera di fronte al divano. Probabilmente è una serie che necessita di qualche trigger warning (è sicuramente molto violenta, con scene di sesso esplicite) ma la dimensione animata aiuta a non provocare troppo fastidio in chi è sensibile a certe immagini. Per capirci, fa sicuramente meno impressione vedere uno schizzo di sangue disegnato piuttosto che vederlo in un film live action. Quindi, anche per i più deboli di stomaco, potrebbe essere più semplice approcciarsi a questa storia che, fidatevi, vi rapirà corpo e anima.